sabato 6 settembre 2014

La luce cristiana sul Tondo Doni


L’opera del 1504 anticipa la volta della Cappella Sistina
Anche qui Michelangelo racconta la storia della salvezza

Arturo Carlo Quintavalle

"Corriere della Sera", 4 settembre 2014

È difficile vedere opere troppo note, quasi consumate dalla riproduzione dei media. Ma, per vedere serve informazione, servono dati, elementi sicuri su cui costruire un discorso. Certo, anche così, la strada non è facile e lo dimostra proprio l’analisi del Tondo Doni il cui significato è da scavare, strato dopo strato. Il dipinto, che conserva la cornice originale, è stato realizzato per il matrimonio di Agnolo Doni e Maddalena Strozzi, 3 gennaio 1504 ma, e qui cominciano i problemi, potrebbe essere stato realizzato per la nascita della figlia nel 1507 (Natali). Dunque come mai la forma tonda? Per via di una tradizione, quella dei «deschi da parto» che, coi cassoni nuziali, sono a Firenze tanto diffusi? No, il dipinto appare proporre un discorso molto più complesso e proprio la cornice, con in alto scolpito il Cristo e, sotto, due Profeti e due Sibille, sembra alludere a un più articolato racconto. Vediamo lo stile, il modo del dipingere. Il blocco delle figure in primo piano, Madonna, Bambino, San Giuseppe, incombe sullo spettatore, quasi sporge dal filo della cornice; dietro, un paesaggio deserto e le rocce semicircolari su cui posano figure maschili e femminili nude; a destra, oltre un striscia netta come un segnale prospettico, il San Giovannino. 
Due dipinti ora alla National Gallery di Londra, ambedue incompiuti, sono gli antecedenti di questo: la Madonna Manchester e il Trasporto di Cristo . Il primo pezzo, da confrontare con la Madonna di Bruges scolpita agli inizi del secolo XVI, mostra il dialogo con la scultura antica, fa capire che Michelangelo guarda sì a Luca Signorelli, quello che dipinge attorno al 1490 una forte Sacra Famiglia agli Uffizi, e guarda anche al Botticelli dagli anni 90, ma il dialogo con l’antico è il tema portante. Anche il Trasporto di Cristo , che si data attorno al 1501, mostra il corpo del Redentore riverso come un esangue Meleagro, e anche le due figure che lo reggono mostrano un’attenzione precisa per l’arte romana. Torniamo al tondo degli Uffizi: prima di tutto colpisce la torsione delle figure che non può essere casuale, Cristo scende dall’alto, Giuseppe lo porge alla Madonna protesa, le figure unite dal gesto staccano dai personaggi di fondo. Uno sguardo più attento ci fa capire che il blocco in primo piano è scorciato dal basso, le figure dietro hanno un punto di vista in asse, a mezza altezza: perché? Charles De Tolnay suggerisce il senso del dipinto: confronto fra le due età, quella del Vecchio Testamento, i nudi al fondo, e quella del Nuovo con le tre figure in primo piano e San Giovanni come mediatore fra le due età. Conforta questa tesi la cornice con Profeti e Sibille e, in alto, in asse sulla Sacra Famiglia, la testa del Cristo che, di per sé, suggerisce la rappresentazione di un meta-tempo: Cristo bambino che scende in terra e, proprio sopra, scolpito nella cornice, il Cristo adulto che sceglierà il sacrificio. 
Michelangelo ha avuto un periodo di formazione, fino al 1492, sulle raccolte di antichità romane degli Orti Medicei, ma per lui è stata altrettanto importante la scultura di Donatello, come anche quella di Bartolomeo Bellano; significativa poi è stata anche l’attenzione alla pittura di Masaccio, a lungo disegnato alla cappella Brancacci, e la ricerca di Luca Signorelli, con quegli spazi vuoti, quei paesaggi senza storia, gli stessi che vediamo nel tondo Doni e negli altri dipinti. La forma tonda ha un significato particolare per Michelangelo: è una premessa a questa composizione il Tondo Taddei, ora a Londra, incompiuto, datato attorno al 1502: ancora una volta un primo piano della Madonna di profilo, il blocco sporgente, il Bambino che evoca una scultura antica e, a sinistra, il San Giovannino. Certo, Michelangelo evoca spesso lo stiacciato di Donatello ma le sue sculture hanno un significato simbolico più complesso, come la Madonna della Scala di Casa Buonarroti dove la scala rappresenta la salvezza e la prospettiva, ancora una volta, è diversa per la Madonna e Bambino e per la rampa vista di scorcio. 
Un quadro è anche colore, ma qui siamo davanti a qualcosa di diverso dalla analitica moltiplicazione dei toni di Botticelli, di Ghirlandaio, o degli altri maestri contemporanei, salvo forse Pollaiolo; qui i colori sono il rossiccio delle carni affocate, l’azzurro del manto della Madonna, il giallo della luce che domina ovunque e il bruno; gli stessi colori che Michelangelo utilizzerà fra breve per la volta della Sistina e che sono probabilmente allusivi ai quattro elementi, terra aria acqua e fuoco. Insomma il dipinto sembra assumere un significato complesso che unisce cornice, forme dipinte, colori. Ma perché queste scelte così articolate e nuove? Secondo la riflessione neoplatonica, mediata a Firenze dalla Teologia Platonica di Marsilio Ficino (1482), il mondo è imperfezione, la Luce divina lo penetra e illumina in gradi diversi, una luce qui diffusa ovunque; anche le espressioni dei volti, il racconto del quotidiano deve essere sublimato; così lo spazio vuoto di eventi pone il segno della venuta del Cristo fuori del tempo. 
Michelangelo, con la sua tagliente definizione delle forme, si contrappone allo sfumato leonardesco e, a riprova, si pensi alla distanza dal cartone della Madonna e Sant’Anna del pittore di Vinci (1505 c.). Del resto proprio con Leonardo, a Palazzo Vecchio chiamato a dipingere la Battaglia di Anghiari (1503-1504 c.), si confronterà Michelangelo che sceglie di rappresentare, per la Battaglia di Cascina (1504-1506), una proda scoscesa dove i soldati fiorentini si stanno bagnando, una proda che sembra echeggiare proprio questa del Tondo Doni. Raffaello, che nel 1507 dipinge la Deposizione per Malatesta Baglioni, cita nella predella proprio Michelangelo ma, nel quadro, sceglie una messa in scena drammatica, descrivendo analiticamente volti, figure e il naturale. Come Raffaello anche Michelangelo nel 1508 è chiamato da Papa Giulio II a Roma dove dipingerà dal 1508 al 1512 la volta della Sistina continuando il racconto che, nel Tondo Doni, ha prefigurato come cosmico confronto sulla salvezza dell’uomo. Appunto il tondo, simbolo di una salvezza che si pone fuori del tempo e della storia.

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