giovedì 19 giugno 2014

Numeri, alfabeto del mondo da Platone al bosone di Higgs


È così che si capiscono la natura, l’arte e il virtuale

Armando Torno

"Corriere della Sera", 18 giugno 2014

In un discorso amichevole con Guido Tonelli, fisico del Cern di Ginevra, uno dei protagonisti della scoperta del bosone di Higgs, ci siamo resi di nuovo conto che i numeri rimangono il linguaggio migliore per conoscere immediatamente chi siamo, dove andiamo e le nostre coordinate nello spazio e nel tempo. Ci confidava l’illustre scienziato: «Viviamo in un universo (per noi) molto grande che ha una dimensione di 10 alla 28 centimetri e che è piuttosto vecchio perché ha circa un’età di 13,8 miliardi di anni; è anche freddo, giacché ha soltanto una temperatura media di 3 gradi sopra lo zero assoluto. Della sua composizione sappiamo molto poco, dal momento che le nostre conoscenze si riferiscono a malapena al 5 per 100 dell’universo; il 27 per 100 è materia oscura (tiene insieme le galassie ma si ignora di cosa sia fatta), il 68 per 100 è ancora più misterioso perché è energia non nota che spinge tutto lontano da tutto e la cui origine è totalmente sconosciuta. Attraverso pochi numeri è possibile esprimere quello che si sa e quanto, per il momento, ignoriamo». 
Sono bastate alcune battute, o meglio poco più di sei cifre, per evocare a nostro giudizio quel che sosteneva l’astrofisico inglese Sir James H. Jeans nel suo fascinoso saggio The Mysterious Universe, pubblicato a Cambridge nel 1930: «Il Grande Architetto dell’Universo ora comincia ad essere considerato un puro matematico». D’altra parte, Platone non aveva asserito che «Dio geometrizza sempre»? Questo detto, tramandatoci da Plutarco nelle Questioni conviviali , possiamo anche considerarlo definitivo per esprimere l’importanza della matematica — e di quei suoi soldati che sono i numeri e gli elementi geometrici — nella cultura non soltanto occidentale. 
Già, la matematica. Non si può ignorare, né è possibile studiare filosofia senza tenerne conto; persino taluni argomenti religiosi chiedono di essere chiariti con il suo soccorso. Il primo pensatore occidentale, ovvero Talete, ha legato il nome a un teorema di geometria; Pitagora e la sua scuola hanno sostanzialmente divinizzato i numeri, ponendo i loro rapporti alla base della realtà e di quell’arte fugace (e allora divina) che è la musica. Del triangolo discussero i manichei, per i quali era immagine della Trinità divina, e sull’argomento intervenne Agostino per negare tale attribuzione. Ma già il filosofo platonico Senocrate (morto nel 314 a.C.) aveva considerato «divino» il triangolo equilatero e «demonico» quello isoscele; egli, comunque, non conosceva quanto aveva elaborato la Cabala ebraica nello Zohar , il Libro dello splendore : «In cielo gli occhi di Dio e la sua fronte costituiscono un triangolo, il cui riflesso forma un triangolo sulle acque». Il Sole, la Luna e Mercurio sono i simboli del triangolo alchemico. E, tra i mille fratelli geometrici che si potrebbero cercare in Cina o nel «Cuore di Hrungnir» (simbolo di epoca vichinga costituito da tre triangoli intrecciati), quello rettangolo fa ritornare a Pitagora e forse all’antico Egitto tra piramidi e misteri, a quel teorema che si sconta sui banchi di scuola. A proposito del quale Arthur Koestler ne I sonnambuli (tradotto da Jaca Book) commentava, evidenziando i rapporti tra i cateti e l’ipotenusa: «Fra la lunghezza dei lati di un triangolo rettangolo non sussiste alcun rapporto evidente; se però costruiamo un quadrato su ogni lato, la superficie dei due quadrati più piccoli corrisponde esattamente alla superficie del quadrato maggiore. Se leggi così mirabilmente ordinate e finora celate all’occhio umano potevano essere scoperte sprofondandosi nelle strutture costitutive dei numeri, non c’era forse la fondata speranza che tutti i segreti dell’universo sarebbero stati presto rivelati attraverso gli elementi del numero?». 
La matematica non è noiosa, né fredda, né va confusa con gli esercizi che per alcuni anni della vita siamo costretti a risolvere incalzati dalla minaccia dei brutti voti. Non è soltanto calcolo; nemmeno va considerata una «scienza esatta», come amano ripetere i tecnici che la utilizzano per far quadrare le costruzioni di ponti e strade. Ma senza di essa cadrebbero le spiegazioni che tentiamo di dare, per esempio, all’universo di Leonardo, che la utilizzò anche per l’Ultima Cena, collocando apostoli e Gesù in punti topici di figure geometriche; ignorandola non potremmo capire le dimensioni virtuali che abitiamo con sempre più frequenza, grazie a Internet. La corrente formalistica affermò che la matematica è «la scienza del possibile» (per «possibile» va inteso quanto non implica contraddizione) e, se così fosse, questa disciplina non sarebbe parte della logica, né la presupporrebbe. Codesta concezione, sviluppata da Hilbert e dalla sua scuola negli anni Venti del Novecento, sostiene che la matematica si possa costruire come un semplice calcolo, senza altre interpretazioni. 
Mai è mancata nei pensieri dei sommi dell’umanità, anzi a volte ha occupato gran parte della loro vita. Da Aristotele ad Einstein, da Newton a Galileo, da Pascal che vi rinunciò per darsi alla teologia a Gauss che desiderava convincere lo zar a tagliare in forme geometriche le foreste della Siberia per lanciare messaggi nell’universo, questa scienza è stata un riferimento indispensabile. Kant la studia, ne tratta in vari scritti e ne lascia una vera e propria filosofia nella Critica della ragion pura . Leibniz è anche un grande matematico oltre che un pensatore di rilievo. Persino Boezio, l’ultima mente speculativa dell’antichità latina, scrive opere di aritmetica e geometria; lo stesso Agostino non riesce a ignorarla e lo si deduce dalle preoccupazioni che gli giungono da taluni riflessi diffusi dagli scritti di Nicomaco di Gerasa, un tardo pitagorico che tra l’altro si interroga sul significato dei numeri primi e di quelli perfetti. 
La letteratura degna di memoria la interroga, con essa riflette. Borges chiama i numeri transfiniti di Georg Cantor (estendono al caso di insiemi con infiniti elementi i concetti di numero cardinale e ordinale dell’aritmetica) «i vasti numeri che un uomo immortale non raggiungerebbe neppure se consumasse la sua eternità contando». Gadda, ingegnere, definisce l’ora «l’integrale dei fuggenti attimi». I teoremi di Euclide entrano nelle similitudini di Dante: «o se del mezzo cerchio far si puote/ triangol sì ch’un retto non avesse» (Paradiso XIII, 101-2). È appunto la proposizione che si legge nel libro terzo degli Elementi : «In un cerchio l’angolo (alla circonferenza inscritto) nel semicerchio è retto». 
Materia che sarà ancora discussa ne I Fratelli Karamazov di Dostoevskij: il sommo russo, conoscendo la rivoluzione portata dal «Copernico della geometria», ovvero Nikolaj Ivanovic Lobacevskij, ritorna lì angosciato ponendosi quesiti sulla natura euclidea o meno del mondo. Ivan confessa ad Alioša: «Ti dichiaro che accetto Dio, puramente e semplicemente. Ecco però quel che bisogna notare: se Dio esiste e se in realtà ha creato la terra, l’ha creata come ci è perfettamente noto, secondo la geometria euclidea, e ha creato lo spirito umano dandogli soltanto la nozione delle tre dimensioni dello spazio». 
Anche in tal caso il discorso diventa infinito, ovvero assume caratteristiche che hanno bisogno a loro volta della matematica per essere spiegate. Chiudiamo questi brevi cenni con una considerazione di Robert Musil, scritta ne L’uomo senza qualità (citiamo dall’edizione Einaudi, tradotta da Anita Rho): «Quasi tutti gli uomini oggi si rendono ben conto che la matematica è entrata come un demone in tutte le applicazioni della vita. Forse non tutti credono alla storia del diavolo a cui si può vendere l’anima, ma quelli che di anima devono intendersene, perché in qualità di preti, storici e artisti ne traggono lauti guadagni, attestano che essa è stata rovinata dalla matematica, e che la matematica è l’origine di un perfido raziocinio che fa, sì, dell’uomo il padrone del mondo, ma lo schiavo della macchina». Cattivo? No, semplicemente attuale.

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