domenica 13 aprile 2014

Il patrimonio filosofico e morale che unisce mondo classico e cristianesimo


Un pensiero aperto e plurale che sa coltivare le diversità
Tutto cominciò con le sfide della Grecia e di Augusto

Giuseppe Galasso

"Corriere della Sera", 13 aprile 2014

Come si sa, l’Europa iniziò la sua grande carriera storica nella preistoria. Anche il nome è antico e appare legato a un termine non indoeuropeo, che significa, più o meno, Occidente, in opposizione ad Asia, Oriente: contrapposizione ricorsa più volte nella storia europea. Si individuavano, in quei due ambiti geografici, due diverse concezioni del mondo e dell’uomo, corrispondenti a due serie di valori, positivi e superiori quelli riconosciuti come europeo-occidentali, negativi e inferiori quelli qualificati come asiatico-orientali. Così fu per i Greci nelle loro guerre con i Persiani, così nella lotta di Augusto contro Antonio e Cleopatra: e già allora il punto-chiave del contrasto era la questione politica della dignità dell’uomo in quanto cittadino. 
Alla Grecia e a Roma l’Europa non è debitrice solo di questo. Ne ha derivato, fra l’altro, un patrimonio di idee e di criteri scientifici, a cominciare dalla conoscenza del mondo, nonché di modelli artistici e letterari, di dottrine e di istituti giuridici e di idee filosofiche, che è poi rimasto a base della posteriore cultura europea. Infine, in questo stesso mondo greco-romano maturarono la genesi e lo sviluppo del cristianesimo: un’enorme rivoluzione religiosa, ma anche culturale, morale, civile. E col cristianesimo entrò pure nella tradizione europea l’ebraismo con i suoi valori, costituendone un fattore spesso deprecato e perseguitato, ma sempre presente, attivo e fecondo. 
Dopo la fine dell’età antica, l’Europa si definì a lungo come Cristianità, all’ombra e sotto la guida delle Chiese cristiane, e soprattutto di quella cattolica. Se si astraesse da ciò, l’idea e l’immagine dell’Europa sarebbero, perciò, private di qualcosa di fondamentale. Il cristianesimo ha avuto, peraltro, del tutto in comune con l’essenza della storia europea, una profonda riluttanza alla staticità, da un lato, e all’uniformità, dall’altro. Come l’Europa, il cristianesimo si è diviso in confessioni, correnti, tradizioni, che si sono contrapposte tra loro in dialettiche acerrime e fin troppo spesso sanguinose. Come quella religiosa, e ancor più, la storia dei popoli e degli Stati europei è stata anch’essa cruenta, di un dinamismo incontenibile e ininterrotto, di ricorrenti diversificazioni e di un ineliminabile pluralismo. In essa le piccole dimensioni non hanno contato meno delle grandi, e sempre l’Europa si è dimostrata riluttante a qualsiasi unità imposta con la forza. 
Attraverso queste lotte la coscienza europea è, tuttavia, cresciuta e ha potuto avere nella storia del mondo una parte singolare e, alla fine, eminente. Eminenza certamente dovuta a un’altro carattere originale dell’Europa, e cioè che essa non è mai stata un ambiente chiuso alle novità di altra provenienza. Anzi, ha assorbito tutto quel che poteva da altri ambienti, dall’Oriente antico mesopotamico, fenicio, anatolico, egizio all’Oriente bizantino e musulmano nel Medioevo, per finire all’Oriente e ad altre parti del mondo moderno. L’esplorazione del mondo, il prodigioso sviluppo della scienza, la rivoluzione industriale, l’avvio di un mondo di comforts e di loisirs prima inimmaginabili, i trionfi tecnico-scientifici fino alla comunicazione in tempo reale, all’esplorazione dello spazio e alla biogenetica sono il frutto dell’apertura, del dinamismo, del pluralismo che hanno connotato in modi varii, ma costantemente la vita storica dell’Europa. 
Un discorso ancor più pregnante è da fare per le idee di libertà, di diritti dell’uomo, di uguaglianza della legge per tutti, di autodeterminazione dei popoli, di questioni sociali, da quelle di classe a quella femminile, di ordine e di sicurezza internazionale, nonché di diritto internazionale, che, con varie altre, formano l’irrinunciabile eredità europea trasmessa al mondo nel corso del tempo. 
L’Europa si è poi definita come tale solo in tempi recenti. Solo, infatti, tra il secolo XV e il XVI un vero concetto d’Europa prese forma e si consolidò, dopo un lungo prologo medievale, iniziato con Carlomagno, che non fu il «fondatore» dell’Europa e non pensava all’Europa, ma determinò condizioni senza le quali l’Europa non sarebbe stata quella che è stata. L’Europa del XV secolo si fermava a oriente sulla linea Baltico-Adriatico. Cracovia e Buda si potevano considerare le sue città più orientali. Al di là si estendeva un mondo slavo, ma largamente permeato di presenze asiatiche (Mongoli, Tartari, Kazachi). La penisola balcanica era degli Ottomani. Fu tra il secolo XV e il XVIII che l’Europa divenne il continente che ancora oggi consideriamo un tutt’uno dall’Atlantico agli Urali, dall’Oceano Artico al Mediterraneo. L’Europa (si può dire) si europeizzò completamente, quale che fosse la fisionomia delle sue parti, per cui divenne una grande realtà civile, e non per caso Voltaire la definiva come una grande société des ésprits , una pur nella sua brillante diversità. 
È per ciò che la dimensione culturale dell’identità europea ha avuto un ruolo dominante nella sua storia. Medioevo e Rinascimento, Illuminismo e Romanticismo, Idealismo e Positivismo furono altrettanti momenti progressivi e cumulativi nello sviluppo di una coscienza europea sempre più comprensiva e, insieme, metodicamente curiosa e insaziabile nel domandare e rispondersi, sempre in fermento di esperienze e di trasformazioni. Nessuna parte dell’eredità d’Europa può, quindi, essere rifiutata a priori, e le sue stesse negatività, così frequenti e cospicue, ne fanno tanto parte che solo includendole in quella storia le si può appieno rifiutare secondo i metri più alti dello spirito europeo. 
Così l’Europa ha potuto europeizzare il mondo. Ben più: si è potuta moltiplicare come Occidente, al punto che oggi vi sono alcune Europe nel resto del mondo, che spingono alcuni a chiedersi se l’Europa stessa, col suo tradizionale ruolo nella storia non sia ormai superflua, perché altri, europei e non, impersonano oggi più e meglio quel ruolo. Sarà così? Gli europei ne sono consapevoli? L’Unione Europea basterà a smentirlo?

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