sabato 22 febbraio 2014

L’apparenza inganna. Così la scienza ci insegna che il mondo non è come sembra


Dai filosofi greci ai quanti e alle stringhe
Nel nuovo saggio di Carlo Rovelli una versione personale 
dello sviluppo teorico della fisica e dei modelli di descrizione del reale
Con un interrogativo: è tutto vero?

Piergiorgio Odifreddi

“La Repubblica“, 19 febbraio 2014

Alziamo gli occhi e osserviamo il Sole e la Luna girare in cielo, ma in un caso ci sbagliamo e nell’altro no. Guardiamo le stelle e ci illudiamo di vederle come sono ora, ma stiamo osservando la loro luce di anni o millenni fa. Passeggiamo nel silenzio di un bosco, ma siamo avvolti da innumerevoli onde radio che solo un apparecchio ci permette di udire. Ci chiniamo a osservare un fiore colorato, ma non scorgiamo gli stessi colori di un’ape che vede nell’ultravioletto. Tiriamo un pallone a poche decine di metri, ma non pensiamo che nel vuoto il calcio l’avrebbe spedito all’infinito. Alziamo con fatica un peso, e non ci rendiamo conto che è quasi tutto costituito di vuoto. Gli atomi non li vediamo neppure al microscopio, che ci rivela però un mondo alieno in cui un insetto ci appare come un mostro da film dell’orrore.
E così via, di illusione in abbaglio, perché le cose sono molto diverse da come immaginiamo o crediamo che siano. Ma qualunque libro di divulgazione scientifica decostruisce la nostra ingenua e fallace immagine del mondo, mostrandoci in maniera sorprendente che La realtà non è come ci appare. Così fa appunto l’omonimo libro di Carlo Rovelli (Cortina), un fisico quantistico e filosofo della scienza che dalle pagine del Sole 24 Ore allieta spesso le nostre domeniche con profonde meditazioni e acute recensioni, che aspettano di trovare la loro unità in quella che sarà una memorabile raccolta.
Rovelli ci ha già regalato, un paio di anni fa, una ricostruzione del pensiero di Anassimandro in Che cos’è la scienza. La rivoluzione di Anassimandro (Mondadori). Ponendosi, allora, sulla scia dei classici Fisica e filosofia di Werner Heisenberg e La natura e i greci di Erwin Schrödinger, che fin dalla nascita della teoria dei quanti si rivolsero al pensiero dei presocratici per trovarvi le radici della nuova fisica che avevano creato.
Con il suo nuovo libro Rovelli ci fornisce ora la propria versione dello sviluppo teorico della fisica, dalle origini ai nostri giorni. Ponendosi, questa volta, sulla scia degli innumerevoli divulgatori che hanno raccontato in tutti i modi la stessa storia, da L’evoluzione della fisica di Albert Einstein e Leopold Infeld a L’universo elegante di Brian Greene, come un pianista che si confronta con gli altri grandi interpreti del passato o del presente sul terreno dell’interpretazione di un classico.
La musica è dunque quella nota, che parte dalle intuizioni presocratiche di due millenni e mezzo fa e arriva alla relatività e ai quanti del Novecento, passando attraverso la meccanica del Seicento e l’elettromagnetismo dell’Ottocento. Anche se poi ciascun interprete, dopo essersi cimentato nella propria esecuzione, si concede una cadenza o una serie di libere variazioni. Nel caso di Rovelli, queste variazioni sono suonate sul tema dell’unificazione delle due grandi teorie del Novecento nella cosiddetta
gravità quantistica, al cui sviluppo egli stesso e i suoi collaboratori hanno contribuito.
Per quanto riguarda l’esecuzione dei temi classici, Rovelli si è ispirato, consciamente o inconsciamente, al Cartesio dei Principi di filosofia, che lo stesso autore suggeriva di «leggere come se fossero un romanzo». Ed effettivamente così si legge, d’un fiato, la prima parte del libro, che racconta con tocco leggero e convincente i fatti salienti della storia della fisica teorica.
Ad esempio, alle pagine 44-45 si ricorda che Galileo misurò l’accelerazione di gravità sulla Terra, trovando il famoso valore di 9,8 metri al secondo quadrato. Poi Newton immaginò una piccola Luna che ruotasse all’altezza delle montagne, ne calcolò con la terza legge di Keplero il periodo in un’ora e mezza, e con la formula dell’accelerazione centripeta trovò che questa era esattamente l’accelerazione calcolata da Galileo. Dunque, la piccola Luna viene tenuta in orbita dalla stessa causa che fa cadere i corpi sulla Terra.
Newton non amava però i romanzi di Cartesio, ai quali imputava di essere (come tutti i romanzi) verosimili, ma non veritieri. E a Rovelli avrebbe ricordato che in realtà Galileo aveva misurato un valore completamente sbagliato, di circa 4,6: dunque, quando Newton provò a fare il suo giochetto, si accorse che non funzionava. Fu solo quando trovò lui stesso il valore corretto, che poté riprovarci. Ma non usando la terza legge di Keplero, che non si poteva verificare per un corpo come la Terra, con un solo satellite. Bensì, calcolando l’accelerazione della Luna vera e trovando che era in proporzione inversa al quadrato della sua distanza rispetto alla Terra.
La prima parte del libro di Rovelli deve dunque essere presa cum grano salis, ricordando che è una poetica trasposizione letteraria e non un prosaico resoconto scientifico. L’esatto contrario della seconda parte, in cui invece le storie su “Isaac e Albert”, come vengono amichevolmente chiamati i protagonisti, cedono il passo alla storia della “gravità quantistica”: un tentativo di mettere insieme la gravitazione einsteniana e la meccanica quantistica, cercando di rimanere il più possibile coi piedi per terra.
Si tratta di uno dei due tentativi estremi di soluzione del problema dell’unificazione delle due grandi teorie novecentesche: l’altro è la più nota, ma anche più fantascientifica, “teoria delle stringhe”, divulgata nel citato libro di Greene. A differenza di quest’ultima, che i seguaci della prima accusano di essere un castello in aria e invidiano per il suo successo quasi monopolistico, la gravità quantistica procede con i piedi di piombo e a passettini guardinghi, senza lanciarsi in speculazioni avventate. Anche così, i risultati non sono comunque meno eccitanti, e certo sono più affidabili. L’equazione di Wheeler-DeWitt su cui si basa la teoria permette di descrivere le linee del campo gravitazionale in maniera analoga a quelle del campo elettromagnetico, ma quantizzata come le orbite degli elettroni negli atomi. Esistono limiti precisi e calcolabili alla divisibilità dello spazio (lunghezze, aree e volumi), ed esso si dissolve insieme al tempo, mentre l’infinito scompare. In una parola, la realtà cessa veramente di essere come ci appare, com’eravamo stati avvertiti fin dal titolo.
La conclusione è però sorprendente, perché dopo aver raccontato la sua storia da fisico Rovelli ricorda di essere anche filosofo, pone la domanda: «Siamo sicuri di tutto questo?», e risponde con un sonoro: «No». Ora, che gli scienziati non siano ancora sicuri delle teorie ancora in divenire, e in particolare della gravità quantistica, è ovvio. Ma che siano invece perfettamente sicuri di quelle ormai confermate oltre ogni ragionevole dubbio, come appunto la relatività generale e la meccanica quantistica, è altrettanto ovvio. Che queste teorie diano soltanto «le migliori risposte trovate finora e disponibili al momento», non significa che un giorno quelle risposte saranno sovvertite: significa, invece e soltanto, che pur continuando a rimanere valide nei loro ambiti, saranno inglobate in risposte più ampie che le includeranno come casi particolari. Naturalmente, Rovelli queste cose le sa benissimo e le ammette nel corso del libro, quando parla da fisico. Ma quando indossa i panni dell’umanista scrive parole più adatte a un postmoderno che non crede all’esistenza di verità definitive, che non a uno scienziato che non solo ci crede, ma addirittura le conosce.

Nessun commento:

Posta un commento