domenica 5 gennaio 2014

L’ombra digitale di Dante



La digitalizzazione è solo uno strumento parziale, 
che non può sostituire la vera lettura. 
La lingua della Commedia illustra i concetti in modi diversi, eludendo talvolta le parole

Roberto Casati

“Il Sole 24 Ore - Domenica“, 5 gennaio 2014

Di recente mi è capitato di scrivere un saggio su Dante. Il tema mi è caro e ci giro intorno da un lungo decennio; la metafisica delle ombre nella Divina Commedia. Si tratta di un problema semplice e complesso a un tempo. In diversi passi Dante lascia per così dire delle tracce della sua natura corporea in un mondo di anime immateriali.
Queste ultime non proiettano ombre, e quando vedono l'ombra di Dante scoprono che un intruso sta visitando il loro regno: «...quando dietro di me, drizzando 'l dito / una gridò: Ve' che non par che luca / lo raggio da sinistra a quel di sotto / e come vivo par che si conduca. / Li occhi rivolsi al suon di questo motto / e vidile guardar par maraviglia / pur me, pur me, e 'l lume ch'era rotto» (Purgatorio V, 4-9). Un passo bellissimo che Signorelli ha magnificamente illustrato in un piccolo tondo nel Duomo di Orvieto. Il problema è che se le anime non proiettano ombre, se quindi sono perfettamente trasparenti alla luce, sono anche completamente invisibili. La Divina Commedia è una rappresentazione immaginifica che se da un lato si incardina su un Assioma di Visibilità, dall'altro cela nel suo cuore metafisico l'impossibilità della visione; le cose di cui narra devono essere visibili, ma non possono esserlo.
Ma non è di Dante che vorrei parlare, o meglio, non direttamente. Avrete notato che la parola «ombra» non compare nel passo che ho citato. Si dice di un «'lume ch'era rotto». Leggendo queste parole capiamo di che cosa parla Dante, ci figuriamo la scena: il corpo di Dante non viene attraversato dalla luce, che si interrompe e – ne concludiamo – crea un'ombra. Ora, mettetevi dal punto di vista di uno studioso che vorrebbe sapere se vi siano altri luoghi in cui la Commedia parla di ombre nel senso appena visto, ovvero quali prove della corporeità. Siamo nell'epoca di Google Books e più in generale delle Digital Humanities, e viene naturale andare a sbirciare una versione online della Divina Commedia e lanciare una ricerca su «ombra». Provateci. Se non vi piacciono gli stralci («snippets») di Google, scaricate la Divina Commedia del Gutenberg Project (così ne approfittate per leggere una recensione che vi spiega perché non comprare Kindle Fire se si vogliono leggere ebook liberi) e andate a cercare «ombra», al singolare e al plurale. Capiterete su decine di occorrenze inutili della parola in un contesto in cui la parola significa «anima»; tanto per fare un esempio, la prima volta che questo avviene, nel primo Canto dell'Inferno, viene fotografato l'incontro di Dante e Virgilio, nientemeno: «"Miserere di me", gridai a lui / "qual che tu sii, od ombra od omo certo!"». Quindi la vostra ricerca genera decine di falsi positivi per via di un'omonimia (ombra come fenomeno ottico od ombra come anima). Ma purtroppo non finisce qui. Come mostra il passo che ho citato sopra, si riesce a parlare di ombre, nel senso non traslato di fenomeni ottici, senza usare la parola «ombra», e quindi la ricerca genera anche dei falsi negativi, impedendovi di vedere quei passi in cui, senza nominarle, le ombre sono le protagoniste della narrazione. Ecco qualche esempio per chi non fosse convinto: «sí che 'suoi raggi tu romper non fai» (Purgatorio VI 55-57); «io vi confesso / che questo è corpo uman che voi vedete / per che 'l lume del sole in terra è fesso. / Non vi maravigliate» (Purgatorio III 94-97); «Dinne com'è che fai di te parete / al sol pur come tu non fossi ancora / di morte intrato dentro de la rete. (Purgatorio XXVI 22-24). Non li cito tutti, ve ne sono ancora almeno un paio, così potete divertirvi a sperimentare l'ebbrezza della ricerca, magari sviluppando qualche piccola euristica personale (magari si parla di lume? Di sole?), che, come vedrete, ha gli stessi problemi evocati or ora.
Tutto questo per trarre una morale molto semplice: per trovare i passi in questione non ci sono scorciatoie digitali. Per quel che mi riguarda, mi sono riletto tutta la Commedia da cima a fondo, lentamente, non facendo altro per una buona settimana, per la quarta volta dai tempi del liceo; esorto tutti a provare da adulti l'ebbrezza del viaggio dantesco in integrale. Sono peraltro affezionato a un'edizione stranissima, la Cento Pagine/Mille Lire della Newton Compton, che presenta il testo nella versione critica di Pedrocchi senza note su sei colonne di una doppia pagina coricata, aiutando chi come me ha una memoria visiva, un espediente sicuramente impossibile da comprimere su un tablet.
Noto anche che questa lettura – attenzione – riguarda una fase preliminare della ricerca, una semplice raccolta di dati. I ricercatori sono certo aiutati dalla digitalizzazione, ma se è già vero che a partire da un certo punto non basta, per studiare, "cercare" e "copia incollare", risulta pure che senza una lettura approfondita, personale, non si possono nemmeno trovare le cose che si cercano.

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