lunedì 4 novembre 2013

Dove punta la freccia del tempo


Si può indirizzarlo verso il potere, la felicità o il miglioramento dell’umanità

Jacques Attali

                                            "Corriere della Sera", 2 novembre 2013

Il tempo è intangibile, sfuggente; e tuttavia, gli uomini si sono sempre sforzati di dominarlo, allo scopo di accrescere il proprio potere. Misurare il tempo fu il primo metodo che utilizzarono per cercare di dare un significato a qualcosa che non riuscivano ad afferrare. Poi le istituzioni politiche colsero le importanti implicazioni connesse con la misurazione del tempo: imponendo un particolare sistema di riferimento, potevano influenzare il modo in cui gli individui gestivano il proprio tempo e, entro certi limiti, definire i ritmi della società. 
Molti leader politici, dagli imperatori cinesi e romani ai rivoluzionari francesi, istituirono così degli specifici calendari, nel tentativo di asservire il tempo alle proprie ambizioni. Altri ravvisarono nel concetto di posterità la possibilità di sfidare e sconfiggere il tempo; la realizzazione di opere in grado di perpetuare la loro fama presso le generazioni future li avrebbe messi in grado di diventare parte della storia dell’umanità e di liberarsi così dal vincolo primario cui gli uomini sono assoggettati: il tempo di vita che è loro concesso. Altri ancora tentarono di raggiungere lo stesso scopo dominando un altro elemento: lo spazio. Da Alessandro il Grande a Napoleone o alla regina Vittoria, furono i primi ad immaginare un governo globale e, per realizzarlo, si sentirono spinti a conquistare interi continenti. 
L’ambizione a dominare il tempo, tuttavia, non si è tradotta soltanto in azioni. A modo loro, anche i pensatori hanno tentato di soggiogarlo. L’hanno fatto decifrando le leggi della storia e applicandole alla loro epoca, per formulare previsioni sul futuro. Con questo procedimento hanno spesso attribuito un significato specifico agli eventi del passato, e una direzione alla storia. Karl Marx, per esempio, vedeva nella lotta di classe la forza motrice della storia dell’umanità, e interpretava le diverse ere — feudalesimo, società borghese — come passaggi verso l’evoluzione finale: l’avvento della società comunista. 
Un simile approccio offre il fianco alle critiche dei detrattori, perché la «fine della storia» è tutt’altro che prevedibile. Il concetto stesso di una progressione lineare della storia è discutibile, e può persino apparire assurdo a chi percepisce il tempo come un ciclo. Così come la notte si succede al giorno e le stagioni si alternano, la storia sarebbe condannata a ripetersi e gli avvenimenti a reiterarsi. Gli uomini dovrebbero accettare questa fatalità, e i loro sforzi di dominare il tempo e appropriarsene risulterebbero vani. Ciò non significa, tuttavia, che debbano rassegnarsi all’impotenza, perché c’è almeno una cosa sulla quale hanno assoluto controllo: il modo in cui impiegano il tempo. Certo, ognuno ne ha poco a disposizione, ma è proprio questo a renderlo così prezioso. Gli uomini non possono regalare o vendere il tempo loro concesso, ma possono condividerlo, il che ne accresce il valore. Valga da esempio la musica: condividere tempo e arte con altri musicisti e con il pubblico è la chiave del successo dei concerti dal vivo. Allo stesso modo, la disponibilità dei professori a condividere con gli studenti tempo e conoscenze costituisce il fondamento dell’istruzione. 
Ogni singolo individuo dovrebbe sforzarsi di sfruttare al meglio il proprio tempo e, grazie a queste o altre attività, utilizzarlo per costruire la propria felicità e per contribuire a quella del genere umano. Dovrebbe vivere più vite in una e impiegarle per lasciare ai figli un mondo migliore di quello che ha ereditato dai genitori. Soltanto così il suo operato raggiungerà davvero la posterità, come spiegò Denis Diderot a Voltaire, in una lettera che gli scrisse il 19 febbraio 1758: «Verrà il giorno in cui le ceneri di tutti si mescoleranno. E dunque, che mi potrà mai importare di essere stato Voltaire oppure Diderot, e che a sopravvivere siano le vostre tre sillabe piuttosto che le mie? Bisogna lavorare, bisogna rendersi utili».
(
Sbiadito nel ricordo è lento nelle attese e veloce nell’amore
Jacques Le Goff

Il testo è elaborato dall’articolo «I don’t know what time is», 
pubblicato nel numero 65 della rivista «World». La traduzione è di Laura Lunardi

Il tempo è un fenomeno dalle molteplici sfaccettature. L’uomo ha cercato di imprigionarlo servendosi di strumenti che ha migliorato nel corso dei secoli, dalla clessidra con i suoi tre minuti di sabbia alla meridiana, fino alla rivoluzionaria invenzione dell’orologio meccanico. Ma il tempo degli individui elude tali misurazioni, perché è il tempo sbiadito dalla memoria, il tempo lento delle attese, quello veloce della paura e dell’amore. Di rado è solo tempo naturale; è inoltre caratterizzato dal contesto sociale e culturale. 
L’esempio più eloquente è il campanile, simbolo del tempo connesso con le esigenze spirituali. Oppure il calendario. Per noi storici, il tempo è l’oggetto di una scienza che è essenziale per l’uomo e che, seppure basata sull’oggettività e sui fatti, non può liberarsi dalle manipolazioni sociali e culturali, costringendoci a venire a patti con i molteplici aspetti del medesimo momento. 
Nella nostra era siamo testimoni dell’evoluzione delle relazioni temporali nell’universo, il movimento verso la globalizzazione, i cui risultati non siamo purtroppo in grado di prevedere: il futuro resta un enigma. 
Il tempo racchiude in sé la lentezza delle ere geologiche ma anche i rapidi tempi individuali del quotidiano di ciascuno di noi.

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