domenica 15 settembre 2013

Quella Madonna del popolo e la spiritualità senza retorica nel “miracolo” di Caravaggio


Melania Mazzucco

 “La Repubblica “,  6 settembre 2013

Da 408 anni se ne sta nella penombra, sulla soglia di casa, col figlio in braccio. Paziente, indisturbata perfino quando la città che la circonda diventa una spiaggia per turisti assetati. Le chiese di Roma ospitano quadri che nei musei attirerebbero le folle. Forse li proteggono da una curiosità effimera e sciatta: per vedere un quadro in chiesa, devi cercarlo. La Madonna dei Pellegrini di Caravaggio ti aspetta nella prima cappella a sinistra della chiesa di sant’Agostino, a due passi da piazza Navona. Molte pitture sacre di Caravaggio destinate a essere esposte in pubblico furono respinte o rimosse con clamore, precipitandolo nella disperazione (ilSan Matteo Contarelli, La morte della Vergine, la Madonna dei Palafrenieri, la Madonna del Rosario).
Non questa.
È l’unico quadro di Caravaggio, ammiratissimo dai collezionisti più raffinati e dai colleghi più giovani, di cui sappiamo che piacque anche ai romani qualunque. Lo testimonia un contemporaneo: Baglione, non certo favorevole al pittore – di cui anzi era fiero nemico e che aveva mandato in carcere per diffamazione. Quando fu mostrato in pubblico, i “popolani” del rione Campo Marzio – racconta – fecero “estremo schiamazzo”. Schiamazzo: scomposto, sguaiato strepito di approvazione.
Nell’autunno del 1603, gli eredi del bolognese Ermete Cavalletti acquistarono dai frati agostiniani una cappella, già consacrata a Maria Maddalena e appartenuta a una cortigiana amante di Cesare Borgia, per dedicarla alla Vergine di Loreto. Ma quando, intorno al 1604, commissionarono la pala d’altare a Merisi non si aspettavano che raffigurasse il miracolo della casa di Maria a Nazareth, traslata sulle ali degli angeli a Loreto e divenuta da allora mèta di pellegrinaggio, luogo di guarigioni e redenzioni. I suoi quadri sacri troppo profani erano già considerati stravaganti e pericolosi: la sua avventura romana stava per concludersi. Caravaggio dipinse laMadonna dei Pellegrini servendosi, come sua abitudine, di modelli dal vero, nel buio studio di vicolo san Biagio, a poca distanza dalla chiesa – nella casa cielo-terra che aveva affittato per 40 ducati annui. Doveva averla già ultimata nel luglio del 1605, quando al Corso aggredì il notaio Pasqualone di Accumoli, “per causa di una donna chiamata Lena”. Per scampare l’ennesimo arresto, dovette fuggire a Genova.
Non so se Caravaggio credesse nei miracoli. È rischioso attribuire a pittori vissuti secoli fa i nostri dubbi e la nostra incredulità. Certo è che il miracolo di Loreto non lo dipinse. La casa di Maria a Loreto per lui è un palazzo romano, con lo stipite di travertino e l’intonaco sfogliato dall’umidità a denudare i mattoni della fabbrica. Sulla soglia di uno di quei palazzi, secondo le parole del notaio, “in piedi a piazza Navona” se ne stava, evidentemente a battere, la donna per causa della quale il pittore l’aveva aggredito. Eppure la casa di Maria è proprio quella. Lì sono giunti, stremati, due pellegrini. La pregano, e lei appare, col figlio in braccio.

La Madonna, bruna, scalza,le gambe incrociate in un gesto di suprema naturalezza (il pupone che regge tra le braccia pesa, e lei deve tenersi in equilibrio), la testa reclina, la gola e il volto sbiancati dalla luce lunare che da sinistra taglia la tenebra e la rivela, non somiglia a nessuna delle Madonne dipinte fino ad allora nelle chiese di Roma. E nemmeno nei quadri di devozione privata nascosti nei palazzi. Benché nella posa classica di una statua, sull’alto gradino come su un palcoscenico, l’aureola diafana della luce arcana alle sue spalle, è una donna – non idealizzata, vera in ogni suo tratto. Il suo corpo proietta un’ombra nera sul portale – che la rende quasi tangibile. Ha un volto comune, italianissimo. Potreste ancora vederla a passeggio fra le strade di Roma. Anche Gesù benedicente non ha nulla di divino. Nudo e paffuto, è un bambino qualunque.
La gente di Campo Marzio, nel 1605, conosceva l’uno e l’altra. Secondo la tradizione (o la leggenda), lei era Lena Antognetti, aveva 23 anni, faceva la vita. Già amante di cardinali, viveva col notaio Pasqualoni. Ma era ancora “la donna di Michelangelo”. Il notaio cornuto si vendicava bastonandola e poi – forse geloso anche del quadro – la sfregiò. Il giorno dopo, Caravaggio lo aggredì al Corso. Lui invece si chiamava Paolo, aveva due anni e mezzo, era figlio di Lena e di un vagabondo condannato al remo. Anche sorvolando sulla novità dell’inquadratura, sulla mancanza di decoro dei protagonisti (forse i committenti stessi, trasformati in viandanti pezzenti), coi piedi “fangosi” in primo piano, l’identità e la riconoscibilità della donna che aveva prestato volto, corpo, veste di velluto rosso e gonna di seta blu cenerealla Vergine, rendeva la tela scandalosa e contraria a tutti i precetti. Motivo sufficiente a farla rimuovere dalla chiesa. Eppure non fu così. Come si è detto, il popolo vi si riconobbe. Ma la ragione di questa permanenza deve essere cercata altrove. Cioè nell’opera stessa.
Essa non ha nulla di blasfemo, o provocatorio. È anzi pervasa da un profondo sentimento religioso. Se quella donna qualunque, nemmeno perbene, è stata scelta da Dio per fargli da madre, essa sarà la madre di tutti. Nessuno sarà abbandonato. Lei saprà ascoltare, accogliere e perdonare. Così i due pellegrini cadono in ginocchio ad adorare la Madonna e il Bambino. Ci ignorano, offrendoci le spalle, i piedi e il deretano: nella gerarchia controriformistica dell’anatomia, le membra più ignobili del corpo umano. I bastoni, gli abiti rattoppati, i piedi zozzi dell’uomo e la cuffia sdrucita della vecchia raccontano la strada percorsa, la fatica e la tenacia della loro fede. Noi vediamo la loro visione: la luce che investe Maria, si riverbera su di loro. I loro visi brutti e rugosi sono illuminati dalla grazia. Essivedono la Vergine e il Bambino. Il miracolo non è una casa in volo sulle ali degli angeli. È la presenza del divino tra le cose, i gesti e i corpi di tutti i giorni.
Caravaggio abolisce la retorica dell’iconografia sacra. Niente angeli né trombe. Riconduce il pellegrinaggio a un’esperienza interiore, immerge la trascendenza nel quotidiano, nel “vero” che lo ossessionava come pittore e che gli sembrava discrimine di autenticità e valore di ogni artista. Eppure nessuna pala seicentesca riesce a comunicare altrettanta spiritualità. A ognuno: col linguaggio del realismo e la grammatica della luce. Per questo la
Madonna dei Pellegrini è sempre stata la Madonna di tutti – i devoti e i peccatori, i cristiani e i miscredenti – ed è ancora lì.

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