martedì 25 giugno 2013

La parole da salvare. Follia, sorella sfortunata della poesia



Quel confine che ci passa accanto

Eugenio Borgna

"Il Fatto",  24 giugno 2013

La follia fa parte della vita malata, ma anche di quella normale. É la sorella sfortunata della poesia. Se incontriamo persone disturbate psichicamente, parliamo con la leggerezza e la delicatezza che risuonano nella follia.

Le parole sono creature viventi, come diceva splendidamente Hugo von Hofmannsthal, il grande scrittore austriaco, e fra di esse ce ne sono alcune che hanno una radicale ed emblematica pregnanza tematica: non sempre riconosciuta nei suoi profondi significati. Cosa dire di una parola così rimossa, e così emarginata, e nondimeno così intessuta di umanità e di gentilezza, come è quella di follia? Cosa si pensa quando si abbia la occasione di leggerla, o di sentirla nominare, nei giornali e nei libri? Nonostante i cambiamenti radicali, ai quali la psichiatria italiana è giunta con una legge di riforma di gran lunga la più umana di quelle europee, si continua a rivivere la follia come una forma di vita sigillata dalla incoerenza e dalla anarchia dei pensieri e dei sentimenti, dalla insensatezza e, cosa ancora più frequente, dalla violenza. Questa è stata nel corso di due secoli la concezione dominante della follia, ancora oggi non certo scomparsa.
SFIDANDO L’IMPOSSIBILE, negli anni Sessanta, sono entrato come medico nell’ospedale psichiatrico di Novara, lasciando la Clinica delle malattie nervose e mentali della Università di Milano, allora la più famosa in Italia, nella quale ci si occupava delle malattie neurologiche, e si guardava con sospetto, e con noncuranza, alle malattie psichiche, alla follia che si preferiva chiamare - cambiano le parole e cambia il mondo, come diceva Ludwig Wittgenstein - pazzia: una parola da cancellare che continua ad essere crudelmente diffusa. Quando così sono entrato la prima volta al di là delle mura dell’ospedale psichiatrico, che a Novara, come dovunque, separavano il mondo della follia dal mondo della (apparente) normalità, e mi sono inoltrato lungo i corridoi e le stanze dell’ospedale, sono stato subito colpito dalla fragilità e dalla gentilezza, dalla timidezza e dalla sensibilità, delle pazienti che ne erano ospitate. Certo, il destino ha voluto che lavorassi nei reparti femminili dell’ospedale psichiatrico, e la follia femminile ha elementi tematici più creativi che non quella maschile; ma, in ogni caso, nell’una e nell’altra non si constatava nulla di quello che così falsamente allora, ma ancora oggi in molti luoghi, si attribuiva alla follia sia nei comportamenti sia nelle emozioni. Ma cosa rinasceva dai volti e dagli sguardi, prima ancora che non dalle parole, talora dimenticate a causa della solitudine nella quale si viveva in ospedale psichiatrico, delle pazienti? L’infinito desiderio di essere accolte nel loro dolore e nella loro angoscia, di essere guardate con gentilezza e con partecipazione, e di ascoltare parole che venissero dal cuore (come diceva Nietzsche: i grandi pensieri vengono dal cuore, e non dalla testa), e che si aprissero alla speranza. Come è facile ferire chi sta male psichicamente con parole aride e glaciali, indifferenti e aggressive, che accrescono il dolore e la disperazione, e come c’è bisogno di parole, come questa di follia, che ne rispettino la dignità. La follia fa parte della vita malata, sì, ma anche di quella normale, e, come diceva Clemens Brentano, il grande poeta romantico tedesco, la follia è la sorella sfortunata della poesia. Se la vita ci fa incontrare con persone disturbate psichicamente, e che oggi non conoscono più la solitudine dell’ospedale psichiatrico, dovremmo ricordarci di dire parole che non offendano, e non facciano del male, e che abbiano la leggerezza e la delicatezza che risuonano nella follia. Questo è il messaggio che la psichiatria, quando sia ascolto dell’indicibile e dell’inesprimibile che sono nella follia, potrebbe augurarsi di inviare in questo bellissimo dibattito sulla parola da salvare.

*Eugenio Borgna già direttore dell’ospedale psichiatrico di Novara è ora primario (emerito) dell’ospedale Maggiore di Novara. I suoi ultimi libri: “La solitudine dell’anima” e “Di armonia risuona e di follia” (2012), editi da Feltrinelli.

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