domenica 9 giugno 2013

Don Giovanni e lo stalking di Elvira


Femminicidi, scambi di coppia, turismo sessuale, persecuzioni. 
Quei grandi romanzi borghesi che sono i libretti d'opera 
sapevano anticipare e descrivere i drammi di oggi

Pierluigi Panza

"Corriere - La Lettura", 9 giugno 2013

Non saranno state in francese le ultime parole tra Chiara e Cristian, Alessandra e Marco, Denise e Matteo… ma nella solita, livida notte, il dialogo a due sarà stato scandito dai palpiti furiosi di un Don José «de noantri». Lui che dice: «J'implore... je supplie». Lei, sul sedile accanto, che gli risponde sprezzante: «Pourquoi t'occuper encore/ d'un coeur qui n'est plus à toi!». Accecato, le rivolge la domanda delle domande: «Tu ne m'aimes donc plus?». Fatale la risposta: «Non! Je ne t'aime plus».
La maglietta fina di Baglioni s'intinge del sangue della Carmen di Bizet. Poi le sirene, i familiari, i giornalisti. E così, a pensarci bene, scopri che femminicidi e casi di stalking sono storie di secoli fa, raccontate — e capite meglio di ora — in quei grandi romanzi borghesi che sono stati i libretti d'opera. Per «sentire» il dolore per i 124 omicidi del 2012 chiamati femminicidi, e per capire i non nuovi fenomeni del cosiddetto stalking e del disperato turismo sessuale, più che i reportage o le valutazioni à-la-carte dei commentatori tv può essere utile la lettura estetica del melodramma.
Sul Don Giovanni di Tirso de Molina / Lorenzo Da Ponte (musicato da Mozart) si è scritto di tutto e Kierkegaard docet: è l'incarnazione dell'uomo che antepone l'estetica all'etica. È vero, solo in Spagna di donne ne ha avute «mille e tre»; ma nell'opera è un perseguitato, vittima dello stalking delle donne abbandonate. Dunque, a vederla con gli occhi di oggi (si può liberamente sedurre e abbandonare, ma non far venire sensi di colpa in chi ha lasciato) lui è un perseguitato. Anna, Elvira e Zerlina non si danno pace e non pensano un solo istante di ricorrere alla magistratura: armano Don Ottavio e Masetto per cercare di «uccidere» il seduttore. Si travestono, tendono agguati, vanno alle sue feste per rovinargliele. Le donne si vogliono vendicare: non tanto dell'omicidio del Commendatore avvenuto a duello, quanto dell'esser state sedotte e abbandonate (oggi avviene il contrario, per alcuni ragazzi). Elvira è una stalker, diciamo: lo delegittima pubblicamente come si farebbe con telefonate e pagine Facebook. Mette in atto comportamenti che costringono Don Giovanni a «mutare le proprie abitudini di vita» (questo è lo specifico del reato di stalking). A dire il vero, anche chi è abbandonato deve mutare le proprie abitudini: ma mentre questo interessa l'opera (dove le donne, in fondo, sono vittime), non interessa le discussioni contemporanee. E i reati contro Don Giovanni e il servo Leporello non si limitano allo stalking! No. Masetto e la sua baby gang con tanto di bastoni in mano minacciano, ingiuriano, commettono i reati di lesioni e tentato omicidio (premeditato).
La disillusa arguzia di uomini di mondo come i poeti Da Ponte e Giovan Battista Casti ci offre un antidoto ai tradimenti e agli esiti imprevedibili degli scambi di coppia: il disincanto. I libretti di Così fan tutte e di La grotta di Trofonio invitano chi è stato tradito per colpa della sua assenza, oppure per sconforto o stato confusionale del partner, al perdono immediato. Le coppie si possono scomporre e ricomporre, calmi! E anche Le nozze di Figaro lanciano un monito e invitano a una soluzione. Il monito è per i capifamiglia che mettono nel mirino badanti e babysitter giovani e bellocce come la serva Susanna; la soluzione è per le agiate signore che, come la contessa, possono forse ritrovare «i bei momenti» attraverso la comprensione.
Dell'esito di Carmen abbiamo detto sopra. La seducente sigaraia non coniuga libertà con responsabilità. La sua bussola è solo la rivoluzionaria liberté: «Io sono mia». Passa il brigadiere in piazza e va bene; poi passa il torero nella brigantesca locanda di Lillas Pastia e si cambia cavaliere. Non capisce che il Domingo di turno ha lasciato per lei la lagnosa Micaela, una mamma moribonda e la guarnigione? Attenta! Se Don José perde tutto, farle perdere la vita (e di rimando la sua) non è tanto. Lui è in completa dispnea; non riesce a respirare senza lei. Non affrontarlo in piazza, non andare «a ridere» di lui dal toreador! Mérimée e il libretto di Meilhac e Halévy invitano a ritenere che a questo punto non si debba arrivare. E il genio, quasi medianico, di Mario Praz vedeva in questo scontro tra «il diabolico fascino della donna» e «la violenza della passione che fa perdere all'uomo ogni riguardo» una specie di vertice della «proiezione fantastica di un bisogno sessuale».
La morte, ovviamente, è il pegno dell'amore: se uno straniero vuole prendersi la sdegnosa principessa (Turandot) bisogna sciogliere i tre enigmi. Se si sbaglia, il boia di Pechino taglia la testa all'aspirante innamorato. Sì, è vero: Turandot lo fa per vendicarsi di una vecchia progenitrice che era stata rinchiusa in una torre da uno straniero. Lo fa per vendicare le donne, insomma. Ma quando Calaf svela gli enigmi, perché non si vuol concedere? Saranno il padre, la comunità di Pechino a spingerla nell'accettazione che diventa amore.
E già che siamo a Puccini, che scoperta sarebbe il turismo sessuale a Pattaya e dintorni? Reportage su reportage guardoni… Non è già, la Madama Butterfly, una storia di turismo sessuale? Il tenente Pinkerton ha sposato la giovane farfalla al modo giapponese, che è un po' il modo della fidanzatina delle vacanze. Il turismo sessuale è un'espressione — vecchia come il mondo — attraverso la quale i cittadini dei Paesi economicamente dominanti esercitano una sopraffazione. Meno bieca oggi, in quanto manifesta senza illusioni, mentre ai suoi tempi, Butterfly non capiva cosa stesse avvenendo e attendeva l'amore in «un fil di fumo».
Se si ripartisse da una lettura estetica e psicologica, anziché sempre giudiziaria, si potrebbe attenuare, se non la ferinità dei sentimenti, almeno il conformismo dei commenti. E capire che nessun assassino nel melodramma è mai stato frenato da leggi di genere o dall'inasprimento delle pene. Ciò deve allertarci: la pena non svolge grande azione dissuasiva in chi uccide per sopravvivere al male che lo ossessiona! Forse che Otello o Don José non sappiano a cosa vanno incontro? Solo il sostegno di una comunità a chi è solo e disperato (e i protagonisti degli attuali omicidi sono sempre «soli e disperati»), l'amicizia di uomini e donne già passati dalla violenza o dall'abbandono, il preventivo intervento psicologico sulla dipendenza dall'ossessione può salvare dalle tragedie. E anche il perdono. Almeno questo pare suggerire all'oggi quel grande romanzo romantico che sono i melodrammi.

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