sabato 1 giugno 2013

Caro amico ti sparo


Nell'estate di 140 anni fa la famosa revolverata di Verlaine contro il compagno Rimbaud. 
Ora un libro ricostruisce quella vicenda, passando dalle carte processuali inedite 
e tracciando il ritratto di un'Europa bigotta.


Marco Cicala

"LA Repubblica -  Il Venerdì", 31 maggio 2013

La pistola era un revolver calibro 7 a sei colpi. Verlaine ne sparò due. Il secondo proiettile si perse nel muro; il primo s'era conficcato nel polso di Rimbaud. Succedeva alle 14 e 30 del 10 luglio 1873 in un alberghetto di Bruxelles. Il concierge neppure se ne accorse. Motivo dell'alterco: beghe tra poeti ubriaconi epederasti. Tutto qua. Finito l'articolo. Se della celebre revolverata ne avete piene le scatole, saltate subito al servizio successivo. Se invece quella bagarre ancora vi incuriosisce, restate sintonizzati. Ché ora un libro ne approfondisce i recessi. Si intitola Una sconosciuta moralitàL'ha scritto Giuseppe Marcenaro. Per metà è una vertiginosa ricostruzione delle personalità di Rimbaud e Verlaine. Per l'altra è un pozzo documentale di lettere, verbali, perizie, testimonianze... Materiali in larga misura inediti in italiano che - pur senza scoop - infiltrano una nuova luce nell'affaire, rendendolo frammento di specchio che riflette un'epoca. 
A cominciare dai comprimari. Su tutti il giudice istruttore Théodore t'Serstevens. Magistrato gessoso, uomo affabile e incolore. Gli si riconoscevano due uniche passioni: le calorie ("Tra un'udienza e l'altra usciva dal palazzo di giustizia per riempirsi di dolci in pasticceria") e "comprare oggetti d'uso domestico, farseli recapitare a casa per poi, meravigliandosi con la moglie, chiedere chi li avesse mandati". Bah. Contento lui. 
Ad ogni modo: se la sparatoria gonfiò il polverone che sappiamo lo si deve proprio a t'Serstevens. Ferito lievemente, Arthur Rimbaud - anni 19, dieci meno del compare - aveva ritirato la denuncia. Altrove, l'episodio si sarebbe "chiuso tutt'al più con una multa per porto d'armi abusivo e leggere violenze". Nel Belgio del controverso re Leopoldo andò altrimenti. Anche perché il giudice s'era intestardito su un teorema: gli premeva dimostrare che all'origine del reato non c'erano né il delirio etilico né il perenne caos mentale di Paul Verlaine, ma la pederastia (omosessualità era ancora termine poco diffuso). Come a dire: Vedete? Chi coltiva passioni contronatura non è soltanto un povero malato ma soggetto socialmente pericoloso. Un criminale in sonno. Non bastasse, dalla polizia francese era giunta pure la notizia che due anni prima, durante la vampata rivoluzionaria della Commune, Verlaine aveva conservato il suo posto di impiegato municipale a Parigi. Che non fosse stato epurato ne faceva in automatico un fiancheggiatore di sovversivi. 

Finì in galera. E col conforto di una perizia medica disposta "al fine di constatare s'egli porti tracce di consuetudine pederastica". Visitandolo, i dottori Vleminckx e Semel appurarono che disponeva di un "pene corto e poco voluminoso - il glande soprattutto è piccolo, affilandosi verso la sua estremità libera, a partire dalla corona". Quanto all'ano: "Si lascia dilatare assai facilmente, attraverso uno scartamento moderato delle natiche, a una profondità di circa un pollice. Questo movimento mette in evidenza un infundibulum (imbuto) svasato, specie di cono tronco la cui sommità sia nel profondo". Dall'ispezione "risulta che P. Verlaine porta sulla sua persona tracce di pederastia attiva e passiva". Ergo: al gabbio. 
Due anni. Poi scorciati per buona condotta. Dapprima gli danno da ripulire chicchi di caffè, in seguito - essendo letterato - lo dispensano dal lavoro fisico. Lui si rimette a studiare l'inglese, legge Shakespeare, e - contemplando il crocifisso - riesuma una, seppur fosca, fede. 
Intanto, per riprendersi dai postumi della pistolettata, Rimbaud si è confinato nel granaio di una fattoria. Scrive come un invasato. Qualche giorno dopo torna giù con i fogli di Une saison en enfer, "l'unico libro della sua vita". Fu pubblicato in 500 esemplari da M.- J. Poot et compagnie, tipografi in Bruxelles. Produzione casereccia. La madre di Arthur versò l'anticipo, ma il resto della somma non fu mai corrisposto allo stampatore. L'autore ebbe diritto a sole sei copie. Poco male. Gli bastavano. Le spedì agli amici giusti, tra cui Verlaine, e dunque sparì. Nel gesto c'è tutta la sublime indifferenza di Rimbaud: lui ce l'ha messa tutta per centrare il capolavoro. Se la raccolta vale, se deve fare il botto, che lo faccia. Adesso il suo compito di scrittore è finito. Ora la palla passa ad altre forze - critica, gusto, mercato - con le quali un poeta non dovrebbe mai confondersi. Perciò Arthur abbandona il libro alle rapide della sorte e se ne disinteressa. Ha troppo da fare: vagabondare per l'orbe come se fosse un immenso appartamento. 
Rotterdam, Southampton, Gibilterra, Napoli, Suez, Aden, Sumatra, Giava, Città del Capo, Sant'Elena, Azzorre, Irlanda, Liverpool, Le Havre, Parigi... Lo avvistano ovunque. Ubiquo. Un fantasma. Ma il suo, ricorda Marcenaro, è "tutto un viaggiare per sentito dire e soltanto nelle lettere degli amici. Di lui in realtà nessuna traccia". Nessuna prova provata. Forse un filo di marketing fabbricato a posteriori. Che importa. Il vero segreto di Rimbaud si annidava in quella mezza dozzina di esemplari della Saison che già terremotavano la poesia moderna. Impagate e mai messe in circolazione, le altre 494 copie ronfavano dimenticate nei locali della tipografia di Bruxelles, in forma di "lurido pacco, macchiato, coperto di polvere". Dal libro di Marcenaro scoprirete chi, trent'anni dopo, fece tombola snidando per caso quelle giacenze e comprandole a prezzo di carta. E scoprirete anche altri rivoli di questa storia: ad esempio come visse e finì George, il disgraziatissimo figlio unigenito di Verlaine, che non poté assistere ai funerali del padre perché aggredito da "crisi di sonno letargico durate tre, quattro e anche cinque giorni". O quanto accadde al patron dell'hotel in cui scoppiò lo scandalo, tale Ivon Verplaets, che per negligenza, vuoi tirchieria nell'ammodernare i locali, morì ucciso dal suo stesso albergo.
Quando gli inquirenti gli chiesero Qual è la sua moralità? Verlaine rispose: Sconosciuta. 140 anni prima del Mariage pour tous, Paul e Arthur erravano da Parigi a Londra a Bruxelles, schiamazzando e litigando come "sguattere ebbre". Più che teorizzarla, praticavano una libertà extralarge che mai quell'epoca, pur rivoluzionaria, avrebbe potuto contenere. Anche se, presto, lo stesso maledettismo sarebbe stato recuperato. Diventando moda, posa, a sua volta accademia.
Subito i fan avrebbero imbalsamato Rimbaud venerandolo come un santino sacrilego. Un angelo dark. Ma fatta tara d'ogni lezioso demonismo fin de siècle, Arthur fu davvero un alieno, singolare neopagano, veggente arcaico, anarchico integrale, outsider antiborghese di cui la venale Modernità borghese ha disperato bisogno come contraltare. Nella perfida innocenza di Rimbaud, ogni legge di gravità sociale - patria, lavoro, famiglia, domicilio - sembra dissolta. E, per quanto paradossalmente, questo ne fa una figura a suo modo conciliata. Di rabbiosa saggezza (Visto abbastanza; Avuto abbastanza; Conosciuto abbastanza scriverà). Verlaine no. Con una moglie inviperita, un figlio, una mamma che bene o male lo mantiene, lui resterà fino alla fine un cristiano lacerato, fra tempestosi focolari domestici e bettole, lupanari, ospedali, gattabuie. Rimbaud muore a 37 anni, forse bestemmiando, a causa del tumore che gli divora il ginocchio. Da tempo aveva voltato le spalle alla poesia, ritirandosi in Africa a trafficare in tutto, fucili inclusi. Nella "stramba Europa" tornò solo per creparci. 
Verlaine campa invece fino a 52 anni. Il volto sempre più irsuto e silvano da "fauno tartaro", gli occhi sempre più cuciti dall'alcol, si aggira nella raggiunta fama come un monumento eternamente pericolante. Magari, come molti altri, beveva fino a lobotomizzarsi per silenziare lo stridore della propria omosessualità. 
Eppure non fu la spalla di Rimbaud, ma poeta altrettanto grande sebbene un po' oscurato dalla leggenda dell'altro. Leggenda che pare un enigma senza fondo. Prendi la vexata quaestio della Chasse spirituelle, il più misterioso ed esoterico fra i testi perduti di Arthur. Un Graal. Maxi-ricercato da quasi un secolo e mezzo. Ammesso che sia esistito veramente e non se lo sia inventato quel contaballe di Verlaine.
Nel 1949 fu pubblicato da due giornali di rango quali Combat e Mercure de France. Ma poi - tra vibranti denunce d'un imbufalito André Breton che aveva fiutato il raggiro - si scoprì che era una bufala (ben) confezionata da due teatranti. Il caso sembrava chiuso. E invece, pochi mesi fa, riecco spuntare la Caccia spirituale. In uno studio uscito dalle edizioni Leo Scheer, il biografo Jean-Jacques Lefrère assicura di aver raccolto indizi tali da confermare che quello scritto è esistito sul serio. Ma si tratta dello stesso inedito riemerso sessant'anni fa? Niente permette di affermarlo, ma nemmeno di negarlo, sostiene fumosamente l'esperto. E la caccia continua. Quanto le sia rimasto di spirituale, decidetelo voi.

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