sabato 11 maggio 2013

Ritorno a Dante, il poeta che dice Io. Nuovo classico oggetto di desiderio


Molti commenti alla «Commedia» con differenti chiavi di lettura

Paolo Di Stefano

"Corriere della Sera", 10 maggio 2013

Che cosa significa oggi commentare un classico? Se chiedete a Saverio Bellomo, professore di filologia italiana a Ca' Foscari di Venezia, vi sentirete rispondere con un verbo: «avvicinare». Cercare, attraverso parafrasi e spiegazioni, di ridurre la distanza di secoli che separa il lettore attuale da un'opera antica non equivale affatto ad attualizzarla. Significa semplicemente renderla più comprensibile.
Il tentativo di «avvicinare» il lettore alla Commedia dell'Alighieri può sembrare per tante ragioni un azzardo: intanto perché il successo immediato procurò al poema dantesco una numerosa serie di commenti fino a superare la soglia di cento. Per quale ragione, dunque, l'Einaudi ha sentito l'esigenza di aggiungere a quelle esistenti una nuova edizione dell'Inferno, affidandola allo stesso Bellomo? Per di più per una collana di grande prestigio come la Nuova raccolta di classici italiani annotati, voluta nel 1939 da Leone Ginzburg, diretta dal grande filologo Santorre Debenedetti, poi da Gianfranco Contini e oggi da Cesare Segre: un'impresa che dalle origini ha guardato più volentieri ai cosiddetti minori che ai capolavori del canone.
«Su Dante si è detto tutto e il contrario di tutto», dice Bellomo, che ha studiato i più antichi commenti della Commedia, ben sette o otto prima del 1337. Dunque? Che altro c'era da aggiungere? Forse niente, ma l'esigenza era quella di selezionare e di esporre la materia secondo una prospettiva nuova. L'ottica adottata da Bellomo, per un pubblico non scolastico ma di lettori colti e «per piacere», è quella di gettare via il (molto) superfluo, prendendo in considerazione i punti di vista della sterminata critica precedente solo quando sia ritenuto indispensabile. Al lettore viene quindi risparmiato un sovraccarico eccessivo di chiose, discussioni e postille. «Concretezza» è la parola d'ordine di Bellomo: «Evitare i linguaggi criptici e ammiccanti, le terminologie tecniche e gratuite, dedicare spazio all'interpretazione letterale tenendo presente che l'italiano antico è spesso un'altra lingua per noi. Altro criterio: rinunciare all'operazione banalizzante dell'attualizzare, che è poco onesta e non paga».
Affrontando con l'editore Zanichelli i lavori per un'antologia liceale, nel 1968 Italo Calvino precisava una sua idea sulle note testuali che può valere a maggior ragione per un lettore «libero» da obblighi scolastici: «Mi pare — scriveva Calvino — che non possiamo dare per un breve brano una massa di note più lunga del brano. Se tante note sono indispensabili vuol dire che il brano è stato scelto male e va eliminato. Ma sono davvero indispensabili? Non ho mai visto un'antologia così annotata. Spaventiamo i ragazzi e i professori». Era quanto lo scrittore osservava in una lettera a Gianni Sofri, redattore e poi collaboratore di lunghissimo corso, che ha raccontato la sua esperienza nel recente Del fare libri (Zanichelli).
È fatale che ogni verso del poema dantesco richieda la sua bella quantità di note esplicative, ma c'è una misura che va rispettata a tutto vantaggio del lettore: perché se lo specialista può farne a meno, il profano rischia di essere sommerso e di finirne scoraggiato. «Nel mezzo del cammin di nostra vita» può diventare lo spunto per una cascata di citazioni da Alberto Magno e san Tommaso e di richiami al Convivio. E non è raro trovare edizioni che riportano in una pagina solo il primo verso seguito da una colata di minuscole noticine in calce e nella pagina seguente solo il secondo e così via: una pagina un verso, con un fiume di spiegazioni. Bellomo va in un'altra direzione. Per il primo verso, gli basta segnalare l'età di Dante ricordando che i 35 anni erano per l'autore «'l colmo del nostro arco». All'introduzione dei singoli canti viene delegato il compito di raccogliere le notizie relative ai fatti storici e ai personaggi evocati, alle loro colpe e alle loro pene, ai testi con cui Dante dialoga esplicitamente. Le note conclusive di ogni canto contengono invece gli elementi più tecnici, formali, stilistici, strutturali e i riferimenti alle fonti (novità del volume è un preziosissimo indice delle fonti).
«Leggendo la Commedia, a ogni piè sospinto si aprono valanghe di interpretazioni». Bellomo intende tornare a una sorta di grado zero o quasi, facendo in qualche modo «tabula rasa» della storia della critica, come auspicava persino Contini. Per questo, vengono recuperati i commenti antichi? «Sono utili perché ci fanno sentire più vicina l'epoca di Dante e permettono di ricreare quella sorta di verginità di cui abbiamo bisogno dopo secoli d'interpretazioni fantasiose».
Dunque, non si insiste troppo sulla lettura allegorica; e piuttosto che all'immagine dell'autore come Profeta (che ha avuto molta fortuna da Nardi fino a Padoan, Tavoni e Santagata) si preferisce dar risalto alla funzione del Poeta: «Non dobbiamo mai dimenticare che Dante è professionalmente un poeta e come tale ritiene che la poesia sia veicolo di verità e abbia origine nella Verità stessa. Da qui il valore sapienziale che viene attribuito in genere ai classici e in particolare all'Eneide: ovvio poi che da cristiano e da uomo del Medioevo Dante pensi che i casi della vita sono tutti guidati da Dio e che da lui solo deriva la Verità».
Dunque, Dante non si sentiva investito di alcuna missione profetica? Sbaglia chi attribuisce alla Commedia un valore quasi oracolare? «Questa strada ci porta verso interpretazioni per enigmi, numerologiche e misteriosofiche, con il rischio di trascurare gli aspetti meramente letterari. Vorrà pur dire qualcosa il fatto che Dante si fa accompagnare nell'oltretomba da Virgilio e non da Isaia o da Geremia… Dico sempre ai miei allievi che se Dante dovesse indicare la sua professione sulla carta d'identità, metterebbe sicuramente Poeta e non certo Profeta». Più che profeta, Dante si configura come «arcipersonaggio»: un'intuizione di Marco Santagata (è appena uscita per Mondadori una sua Guida all'Inferno), che Bellomo accoglie volentieri sottolineando che «la continuità dalla Vita nova alla Commedia è data dalla presenza, oltre che di Beatrice, del poeta come personaggio che dice "io"». Nella fertile stagione attuale di studi danteschi spicca anche il Dante oltre la Commedia di Alberto Casadei (Il Mulino), che proprio ai rapporti intimi con la Vita nova dedica il capitolo finale.
È pur vero, d'altra parte, che la lettura di Dante richiede una conoscenza non banale della storia ma anche della cultura teologica: «È il guaio del leggere la Commedia oggi nelle scuole: la cultura di base si è abbassata, ma soprattutto manca ai ragazzi una cultura cattolica, perché non vanno più a dottrina e non conoscono gli episodi del Vangelo e della Bibbia. Una carenza preoccupante». Tutti aspetti che nell'insegnamento scolastico diventano una croce insopportabile: «Non ci sono testi letterari tanto entusiasmanti per gli studenti: Petrarca dopo un po' diventa noiosissimo perché devi coglierne le sottigliezze, Boccaccio ha una sintassi troppo complessa… Leggere Dante significa impossessarsi della lingua della letteratura italiana, dunque è utile anche per capire Leopardi. Ma in genere è facile affrontare la Commedia a scuola, perché è un fuoco d'artificio continuo, con trame e storie affascinanti, purché le liberiamo delle tante fregnacce che si sono accumulate nei secoli».

1 commento:

  1. Grazie per questo articolo, non mi sarebbe mai capitato di leggerlo se non l'avessi visto qui, e per una appassionata di Dante come me sarebbe stato proprio un peccato!

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