mercoledì 29 maggio 2013

Eureka! Così Archimede è diventato un’icona pop


Da Plutarco a Walt Disney: 
una mostra a Roma svela la storia autentica dietro la leggenda


Siegmund Ginzberg

"La Repubblica",  28 maggio 2013


Da ventitré secoli Archimede è molto più immaginato che studiato. È mito, leggenda, favola, molto spesso anche stereotipo, talvolta addirittura marchio pubblicitario, più che storia. Ci siamo abituati a riconoscere colui che fu il più grande matematico dell’antichità per gli aneddoti (quasi tutti di pura invenzione, compreso il celeberrimo sound-byte “eureka”) piuttosto che per i teoremi. Per la mia generazione è un personaggio dei fumetti: l’Archimede Pitagorico degli albi di Topolino, il genio picchiatello che sforna mirabolanti invenzioni a tutt’andare. Nell’originale di Walt Disney si chiamava Gyro Gearloose, lo “svitato”, e quindi non aveva nemmeno questo tenue legame onomastico col nostro personaggio. Ma ad appiccicare ad Archimede di Siracusa la figurina dello scienziato distratto, perennemente nelle nuvole, del tipo che esce dal bagno e va in strada nudo gridando come un forsennato “ho trovato”, o che assorto nei suoi calcoli non si accorge nemmeno della presenza del soldato romano che sta per ucciderlo, erano stati già i primissimi che hanno scritto di lui: Plutarco, Tito Livio, Polibio, Valerio Massimo e Vitruvio, quasi suoi contemporanei (molto quasi: la loro testimonianza è “solo” di qualche secolo dopo i fatti…).
Archimede è un simbolo, anzi qualcosa di ancor meno palpabile, un’emozione mi verrebbe da dire, prima che una figura storica. Lo era anche per “colleghi” scienziati e “geni” come Leonardo e Galileo quando fu riscoperto dopo un oblio millenario. Lo è rimasto sino ai giorni nostri. La leva con la quale si diceva capace di sollevare la Terra, se solo avesse a disposizione un punto di appoggio, è filosofica negli scritti di Cartesio, patriottica in quelli di Thomas Paine, muove le relazioni internazionali dei giovani Stati Uniti in quelli di Thomas Jefferson, niente meno che la storia del mondo intero in Balzac, è la rivoluzione in Trotsky, è la politica per Hannah Arendt, l’influenza dei media per Marshall McLuhan. Archimede fa capolino nel Don Giovanni, nei Tre moschetteri, in Dracula, in Frankenstein e, a proposito di fragilità della psiche umana, anche in Kafka, diventa quasi un’ossessione per Edgar Allan Poe. C’è chi è arrivato ad attribuirgli, a fianco di Sofocle, sulla scorta dei procedimenti per enigmi, quasi da detective in un “giallo”, con i quali espone le sue dimostrazioni matematiche, nientemeno che la paternità del genere poliziesco. Insomma, che lo si voglia o no, per noi Archimede è ormai un personaggio da romanzo. Infiamma l’immaginazione, prima e molto più di quanto rinfreschi le conoscenze scientifiche, esattamente come avveniva per i suoi primi biografi antichi romani. Tanto è vero che ricordo di aver recentemente gustato come un romanzo Il codice perduto di Archimede di Reviel Netz e William Noel (Rizzoli 2007), benché non sia affatto un libro di fiction e fantasia ma un testo serio sul recupero, da un codice antico da cui il testo di Archimede era stato raschiato dalla pergamena dai monaci amanuensi per sovrapporvi un libro di preghiere, di un passo perduto da cui si evince che il matematico siracusano aveva scoperto, oltre un millennio prima di Newton e Leibnitz, il calcolo infinitesimale e, molto prima di Cantor, addirittura la concezione novecentesca degli infiniti. È nel libro di questi autorevoli studiosi che ho letto che Archimede stesso con l’immaginazione ci giocava, procedeva spesso per burle, rompicapi ed enigmi, come si potrebbe dedurre già dal titolo di uno dei suoi trattati, lo Stomachion, dal nome di un gioco per bambini, detto appunto “mal di stomaco”, presumibilmente per la difficoltà a risolvere i puzzle su cui si fondava.
In controtendenza rispetto alle presentazioni fictional di Archimede a cui ci eravamo abituati (piacevolmente, almeno per quanto mi riguarda), si presenta invece la mostra che verrà inaugurata a fine maggio ai Musei capitolini su Archimede. Arte e scienza dell'invenzione.
È accompagnata da un notevole e dotto catalogo denso di saggi firmati dai più autorevoli studiosi dell’argomento. Anziché sulle leggende e gli aneddoti, l’attenzione si concentra sull’ambiente in cui erano maturate le vicende del genio di Archimede, la Sicilia e la Siracusa del III secolo avanti Cristo, la fortuna delle principali scoperte attribuite ad Archimede nel Medioevo arabo, nel Rinascimento e nel Settecento. La “fantasia” è limitata all’iconografia antica e a quella dei dipinti dell’Ottocento, ispirati al ritorno al “classico” e all’esaltazione e “sacralizzazione” della Scienza. La narrazione tradizionale “ad effetto” lascia il posto alle ricerche archeologiche e filologiche. Visitare la mostra per crederci: questo è per molti versi un “altro Archimede” rispetto a quello cui eravamo abituati.
Protagonista non è più solo la figura del “genio universale” fuori dal tempo, ma l’uomo che visse in un’epoca precisa, in una città che ha conservato parte delle mura su cui egli aveva approntato i suoi ingegnosi strumenti di difesa, e le vestigia del potere che lo stipendiava. Non c’è più solo la storiella di come cercando di scoprire, su incarico del suo datore di lavoro, se una corona d’oro conteneva davvero tutto l’oro puro che l’orefice aveva fatturato, inventò nella sua vasca da bagno la meccanica dei fluidi. Né solo quella di come avrebbe bruciato la flotta romana coi suoi specchi ustori. Queste sono favole, molto suggestive (anche il secolo delle guerre stellari continua a sognare l’arma definitiva, o la scoperta “per caso”), ma appunto solo favole.
La realtà è più prosaica. Ma non per questo meno interessante. Abbiamo un tiranno, Gerone II, che attirava a Siracusa i migliori cervelli della sua epoca, matematici compresi. Non solo per farsi costruire congegni di guerra, ma anche per altri fini pratici: ad esempio per poter meglio calcolare quanto poteva tassare i sudditi senza mandarli in rovina, o poter meglio diluire il valore delle sue monete (c’è nella mostra anche un’affascinante sezione numismatica). Così come il suo predecessore, il tiranno Dionigi, era riuscito ad ingaggiare nientemeno che Platone, uno dei padri della grande politica, perché gli insegnasse a governare senza democrazia (cosa che ancora oggi fanno in Cina). Non per niente Gerone era riuscito a mantenersi al potere per ben mezzo secolo, facendo anche lui prosperare Siracusa. Lo fece destreggiandosi abilmente tra Cartaginesi e Romani, senza mai rompere né con gli uni né con gli altri. Finché i suoi successori si schierarono con una delle due parti, quella sbagliata. E persero la città, mentre Archimede perdeva la vita.
Non c’è più solo la favola suggestiva del genio solitario, ma l’idea di come nel Mediterraneo di quei tempi funzionasse un vero e proprio “network tecnologico” in cui Archimede era in continua corrispondenza coi suoi “pari”. Non nascono nel vuoto le sue straordinarie intuizioni matematiche, né l’astronomia del suo contemporaneo Aristarco, che fondandosi sul calcolo dei granelli di sabbia contenuti nell’universo dell’Arenaria di Archimede, assai più ampio di quello immaginabile con al centro la Terra, aveva anticipato di oltre un millennio l’idea di Copernico e Galileo che fosse la Terra a ruotare intorno al Sole e non viceversa. Insomma: gratta via il fantastico e finisci con la scoprire che sotto c’è qualcosa di ancora più fantastico.

ARCHIMEDES IN THE 21ST CENTURY
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