sabato 18 maggio 2013

Brevità, velocità: le nuove vie della lettura (e della scrittura)


Metamorfosi del narrare dalla voce di Omero al trionfo della stampa 

La Rete continua la rivoluzione del Novecento, un secolo stracolmo di carta 

ARMANDO TORNO 

"Corriere della Sera", 16 maggio 2013

Stiamo vivendo in un'epoca rivoluzionaria. Non per la politica, che cerca di far quadrare i conti quando riesce e ormai ha rinunciato a cambiare il mondo o a credere che un giorno la fantasia potrà sedersi nelle stanze del potere, ma il nostro tempo è sconvolto dal nuovo modo di leggere. E anche di scrivere. Siamo diventati frettolosi, voraci, capricciosi; qualcuno desidererebbe aggiungere: incostanti. Davanti a un testo vorremmo capire tutto e subito, con la velocità dell'orso che trangugia il miele per assaporare tutta la dolcezza con una sola deglutizione. È il contrario di quanto accadeva nel passato, persino nel secolo scorso tutto era diverso, in quel Novecento pieno di libri, giornali, riviste, enciclopedie, manuali, dizionari; sembrerebbe quasi che sia avvenuta una mutazione genetica nel cogliere un messaggio scritto rispetto a pochi lustri or sono. Dedichiamo pochi minuti al quotidiano (indipendentemente dal mezzo utilizzato per leggerlo), qualche ora ai libri; tuttavia ci entusiasmiamo per i messaggi brevi, siano essi inviati per mail, sms o Twitter, n cuore della nostra comunicazione si è trasferito. Qualche decennio fa erano sorte scuole di lettura veloce, che rubavano le idee alle pagine attraverso strategie trasversali, ora tutti hanno messo a punto un proprio metodo selettivo. Miguel de Cervantes nel prologo al suo magistrale Don Chisciotte (quel libro che Nietzsche definiva «amaro fra tutti») si lascia sfuggire l'espressione Desocupado lector, «Disoccupato lettore». Oggi, purtroppo, gli unici che non rischiano la disoccupazione sono proprio coloro che amano leggere. Anche se il tempo a questa categoria manca sempre. 
«I Corsivi», ovvero la prima collana di ebook nativi del quotidiano ideati dal «Corriere della Sera», desiderano essere svelti, sintetici, essenziali per rispondere alle esigenze di lettura dei nostri giorni. Al massimo saranno di 40 mila battute. Si tratta insomma di libri digitali che equivalgono — nel caso più esteso — a quattro pagine dì giornale. Una regola aurea della comunicazione odierna, essenziale per non far parte di quella categoria che viene evitata appena si scorge la firma di uno dei suoi componenti, è la brevità. Indro Montanelli, per fare un esempio, chiedeva ai suoi giornalisti di scrivere interventi che non continuassero in altre pagine. Le grandi estensioni erano allora chiamate, forse impropriamente o forse con ironia, articolesse. Una regola, comunque, che è stata sempre valida e che ora è diventata indispensabile. La saggezza di Shakespeare ci aiuta: nella seconda scena del secondo atto di Amleto il sommo drammaturgo mette in bocca a Polonio: «Brevity is the soul of wit», cioè: «La brevità è l'anima della saggezza». 
Non soltanto è cambiata la lettura, ma la scrittura è emigrata in un'altra dimensione sia per gli strumenti che utilizza sia per le regole a cui si attiene. Sino a qualche decennio fa sulle pagelle degli scolaretti figurava una voce per il voto in calligrafia, ora susciterebbe ilarità. Gli impiegati di un tempo—vi ricordate di Akakij Akakievic Basmackin, il personaggio de Il cappotto di Go gol? — provavano gioia e orgoglio nel presentare i loro testi or nati a penna. E che dire di quella che si definiva cultura orale? Intere generazioni si sono trasmesse nozioni saltando la scrittura e affidandosi alla sola parola, ma oggi la tecnologia ha fatto vincere definitivamente ciò che è scritto e che è immagine. Dietro Omero c'era una tradizione di oralità che nemmeno riusciamo a immaginarci, con Platone si arriva al trionfo della scrittura (anche se il filosofo ateniese credeva che alcune verità non si potessero tradurre in questa forma), i monaci medievali salvarono il mondo antico trascrivendo quel che restava dei testi scritti, il Rinascimento riuscì a cambiare le regole di diffusione del sapere con i caratteri mobili. Insomma, inventando la stampa. 
Già, la stampa. La nostra epoca sta vivendo cambiamenti forse superiori a quelli che videro i grandi umanisti alla metà del Quattrocento, allorché si passò dalle copisterie di libri realizzati da amanuensi a volumi che nascevano grazie ai torchi. I primi stampati, vale a dire gli incunaboli, furono battuti dal punto di vista commerciale nel loro iniziale diffondersi dai manoscritti che le botteghe potevano ricopiare attraverso un lavoro seriale anche in meno di una giornata, a seconda delle esigenze del cliente. Si entrava al mattino, per esempio, con un'Eneide di Virgilio e a ogni lavorante era assegnata una parte da riprendere: nel tardo pomeriggio si passava a ritirare l'opera completa se non si chiedevano capilettera miniati o abbellimenti particolari. Del resto Vespasiano da Bisticci, l'autore delle Vite dei personaggi illustri da lui conosciuti, conduceva una «libraria» a Firenze presso il Bargello in cui era giunto ad avere anche duecento copisti (dice, tra l'altro, per difendere la sua arte, che Federico da Montefeltro possedeva una biblioteca di soli manoscritti, con nessun testo a stampa, «che se ne sarebbe vergognato»).
Negli anni in cui gli amanuensi combattevano con i torcolieri, e questi ultimi fallivano con facilità, quasi nessuno riuscì a capire l'importanza della stampa, il mondo si accorse improvvisamente del potere di questa «diavoleria» (così verme definita in qualche pia predica) nei giorni della Riforma protestante. Dopo che Lutero, stando a una discreta tradizione, affisse le 95 tesi sul portone della Chiesa di Wittenberg il 31 ottobre 1517, tutti constatarono che nessuna censura avrebbe saputo fermare quel testo. Anche un analfabeta poteva diffonderlo, nonostante i fulmini pontifici e le pene dell'inferno pronte a tormentarlo. Una piccola osservazione in margine: molti torcolieri, addetti alla manovalanza, non sapevano né leggere né scrivere e riconoscevano visivamente i caratteri lavorando con sempre maggior velocità. Nemmeno Lutero colse quel stava avvenendo, anche se fu uno dei maggiori beneficiati; anzi, quasi nessuno riuscì a valutarlo. Ma la diffusione del sapere cambio nel volgere di pochissimo tempo e il mondo si riempì di libri stampati (senza vergognarsene). Per trionfare sugli amanuensi le botteghe di stampa ebbero bisogno di mezzo secolo, anno più anno meno. Oggi, con buone probabilità, le coordinate cambieranno rapidamente e ci troveremo a scrivere e a leggere in maniera completamente diversa da come pensavano o stanno ancora credendo gli autori degli stessi libri. L'ebook è soltanto una parte della rivoluzione in atto. Gli strumenti di lettura amano perfezionarsi con una velocità assordante. Anche se per i torchi ci vollero secoli.   

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