domenica 24 marzo 2013

Le immagini del satellite Planck

Vedere in diretta l’Universo bambino

Presentate ieri a Parigi le straordinarie immagini del satellite Planck

Antonio Lo Campo

"La Stampa",  22 marzo 2013

La radiazione cosmica di fondo osservata da Planck: è l’immagine della luce più antica, impressa quando l’Universo aveva appena 380 mila anni

È stato un po’ come togliere il «velo» all’Universo. I nuovi dati dal satellite europeo «Planck» presentati ieri nella sede ESA a Parigi ne hanno fornito una nuova mappa più dettagliata rispetto a quella già elaborata nell’estate 2010. E per prima cosa si scopre che l’Universo ha 13,8 miliardi di anni.
Ma le sorprese sono molte. Per la nostra galassia, la Via Lattea, è stata realizzata una mappa dell’emissione delle polveri prodotte dalle stelle alla fine della loro vita, e una mappa dell’emissione degli elettroni liberi presenti tra le stelle. Per il cosmo intergalattico c’è ora una mappa della radiazione diffusa dal gas caldissimo degli ammassi di galassie, anche da quelli così lontani da non essere mai stati osservati prima.
Ma il dato più sorprendente è il prospetto della radiazione dei primi istanti dopo il big bang: «È come analizzare le acque alla foce di un grande fiume», spiega Paolo de Bernardis, responsabile delle attività di Planck presso l’Università La Sapienza di Roma, «e farlo talmente bene da poter risalire precisamente ai contributi di ciascuno dei suoi affluenti. Le nuove mappe di Planck permettono di stabilire per la prima volta quanta radiazione proviene dalla nostra galassia, dall’universo extragalattico e dall’universo primordiale».
Planck è un satellite dell’ESA lanciato nel maggio 2009 con un razzo Ariane 5 e inviato in un punto dello spazio a circa 1 milione e mezzo di chilometri dalla Terra; alcuni apparati del satellite operano a -253 gradi, altri a -273. Si tratta di quella sorta di «membrana» molto sensibile ma necessaria per rivelare i segnali testimoni della nascita dell’universo.


L’estrema semplicità del momento iniziale

Marco Bersanelli

Dopo vent’anni di attesa e lavoro, dopo tre anni di osservazioni da un angolo sperduto dello spazio a un milione e mezzo di chilometri dalla terra, dopo migliaia di ore d’impegno di un piccolo esercito di brillanti scienziati di tutto il mondo (molti italiani), ieri abbiamo finalmente mostrato i primi risultati della missione Planck dell’ESA. Guardare indietro verso l’alba del tempo e catturare l’immagine più nitida mai realizzata dell’universo appena nato, questo l’obiettivo di Planck. Oggi possiamo dirlo: missione compiuta. Planck è una sorta di macchina del tempo. Poiché la luce, per quanto veloce, impiega molto tempo ad attraversare le distanze cosmiche, osservare oggetti a grande distanza nello spazio significa anche vederli come essi erano indietro nel tempo. Planck porta questa situazione alle estreme conseguenze: i suoi sofisticati strumenti catturano luce (che oggi vediamo sotto forma di microonde) che ha viaggiato quasi per l’intera età dell’universo, circa 14 miliardi di anni, e dunque ci restituiscono un’istantanea di come si presentava il cosmo all’inizio, quando la sua età era lo 0,003% di quella attuale. È come vedere un bimbo a poche settimane di vita rispetto a un adulto di 50 anni.
Gli strumenti di Planck sono i più potenti ricettori di microonde mai costruiti. Grazie alla loro sensibilità e risoluzione angolare ci hanno permesso di registrare con estrema precisione le piccole fluttuazioni di densità che agitavano il plasma infuocato che riempiva l’universo primitivo. Si tratta di oscillazioni acustiche (onde sonore) i cui effetti gravitazionali hanno dato il via alla formazione delle strutture. Per la prima volta Planck ha captato per intero questa «sinfonia cosmica», la cui analisi ha permesso di misurare con precisione senza precedenti le caratteristiche dell’universo.
I risultati ci offrono un misto di conferme e di sorprese. Anzitutto Planck ha verificato in modo spettacolare la validità del modello cosmologico standard. Significa in pratica che i tratti essenziali del nostro universo sono descritti molto bene da una manciata di parametri: sei numeri in tutto. L’universo iniziale era di una semplicità disarmante. Impressiona considerare come quello stato semplicissimo iniziale sia stato terreno fertile per lo sbocciare della complessità e della ricchezza che troviamo nell’universo presente. Planck ha anche precisato il valore di quei parametri che fissano l’abbondanza degli ingredienti di materia-energia, la geometria dello spazio, la dinamica dell’espansione. Troviamo che la materia «ordinaria» (della quale sono fatte le stelle, le galassie, e tutto il mondo conosciuto, compresi noi stessi) costituisce solo il 4,9% del contenuto dell’universo. La presenza della materia oscura non solo è confermata, ma «pesa» più del previsto: è il 26,8% del totale, un quinto in più di quanto si pensava. Il resto è il contributo dell’energia oscura, la misteriosa forza responsabile dell’accelerazione cosmica. Inoltre troviamo che la famosa costante di Hubble, che misura il tasso dell’espansione, ha un valore inferiore a quello dedotto da altre osservazioni astronomiche. Tutto ciò fornisce anche una data di nascita ben precisa per il nostro universo: 13,82 miliardi di anni, con la pazzesca precisione dello 0.4%.
Ma non è tutto. Le mappe di Planck hanno anche rivelato alcuni indizi che potrebbero essere sintomo di qualcosa di più profondo. Uno dei pilastri della cosmologia moderna è il cosiddetto principio cosmologico, ovvero l’assunto che su grande scala l’universo è in sostanza ovunque uguale a se stesso. Planck ha rivelato qualche crepa: si osserva una lieve asimmetria tra un emisfero e l’altro del cielo; inoltre si nota la presenza di un’ampia regione «fredda» difficile da spiegare come una semplice fluttuazione statistica; e altre piccole stranezze.
E’ straordinario vedere in diretta l’universo neonato con una definizione mai vista prima. E l’avventura non finisce qui. Questi risultati riguardano solo i primi 15 mesi di osservazioni, abbiamo ancora molti dati nel cassetto, compresa l’analisi sulla polarizzazione che promette altre novità. Arrivederci nel 2014!
Università degli Studi di Milano
Instrument Scientist e Deputy PI di Planck-LFI


La materia oscura che rallenta l'Universo

Giovanni Caprara

"Corriere della Sera",  23 marzo 2013

È il 20% in più di quanto si credeva: rappresenta la parte ignota del cosmo
Nell'Universo c'è più materia oscura di quanto si pensasse finora. Lo ha misurato il satellite Planck dell'agenzia spaziale europea Esa con quindici mesi di intense osservazioni dell'intera volta celeste. «Ora sappiamo che costituisce il 26,8 per cento dell'Universo, vale a dire il 20 per cento in più di quanto prima si era calcolato» racconta Nazzareno Mandolesi dell'Università di Ferrara e dell'Istituto Nazionale di astrofisica, responsabile di uno dei due strumenti imbarcati sul satellite oltre che del gruppo di astronomi di varie accademie che hanno conquistato l'importante risultato. La natura del cosmo (conosciuto) è divisa in tre specie: c'è la materia visibile come stelle e galassie la quale rappresenta appena il 4,9 per cento, poi si aggiungono la materia oscura e l'energia oscura così battezzate perché la loro identità è ignota nonostante i mezzi di osservazione di cui gli astrofisici dispongono. Ma con Planck si è compiuto un passo avanti anche se il mistero permane addirittura dal 1933. Esattamente ottant'anni fa l'astronomo svizzero Fritz Zwicky di origine bulgara e poi naturalizzato americano, studiando i lontani ammassi di galassie della Vergine e della Chioma considerava che la loro massa doveva essere più elevata, addirittura 400 volte maggiore, rispetto a quella valutata con la luce emessa. Ma non seppe dare una risposta. L'enigma venne ripreso negli anni Settanta e gli astronomi si immaginarono oggetti oscuri e collassati intorno alle galassie i quali non emettendo luce non apparivano ma contribuivano al calcolo della massa. Alcuni di questi corpi celesti li avevano battezzati Machos. Poi si aggiunsero altre spiegazioni come l'esistenza di particelle nucleari senza massa e altre soluzioni.
Insomma l'enigma invece di sciogliersi si acuiva tanto da accendere pure la fantasia di qualche scrittore di fantascienza come Philip Pulmann che scriveva addirittura una trilogia, tre romanzi di buon successo con questo soggetto. Tanto che dal primo nel 2007 venne tratto un film (La bussola d'oro del regista Chris Weitz) con protagonisti attori come Daniel Craig (poi famoso come il nuovo 007) e Nicole Kidman. Nella pellicola la materia oscura diventa una polvere capace persino di entrare in contatto con le menti umane condizionandole.
La fantasia, anche quella degli scienziati, continuava intanto a correre per trovare risposte e il risultato di Planck porta un contributo concreto, oltre che affascinante, per spiegare e capire meglio l'universo in cui viviamo.
«Misurando più materia oscura — spiega Mandolesi — vuol dire che non solo l'energia oscura rimanente è minore ma che la velocità di espansione dell'universo è meno accelerata di quanto si ritenesse. Perché essendoci meno energia oscura l'universo è più lento, l'effetto attrattore che gli imprime velocità è dunque più ridotto».
Fino alla metà degli anni Novanta nemmeno si parlava di energia oscura ma solo di materia oscura. Ma da allora alcune osservazioni sulla fuga delle galassie giudicarono utile un'intuizione di Albert Einstein che propose per far quadrare i conti di un Universo che immaginava stazionario e il valore da lui ideato per l'occasione serviva proprio per mantenerlo immobile. Poi ritrattò definendolo «il mio più grande errore» però quel valore (la costante cosmologica) rimase prezioso e oggi è alla base dell'energia oscura.
C'è, però, un altro risultato di Planck che intriga gli astronomi, ovvero la presenza di «semi galattici», che sono dei punti in cui l'energia risulta più intensa. «Abbiamo scoperto che la distribuzione di questi "semi" non è uguale in tutto il cosmo come finora si riteneva — ricorda lo scienziato —. Questo come credente mi fa rabbrividire perché mi piace pensare ad una natura regolare e perfetta, mentre abbiamo scoperto e fotografato l'esatto contrario».
La nuova mappa mostra un Universo neonato, com'era 380 mila anni dopo il Big Bang dal quale tutto ebbe origine. «È una fotografia di una precisione straordinaria che servirà da base per decenni per decifrare i molti enigmi del cosmo — conclude Nazzareno Mandolesi —. Ed è la conferma di un Universo piatto nel quale l'espansione continua andando a smantellare anche alcune strane idee come quella dell'astronomo britannico Stephen Hawking il quale sostiene che dal caos tutto abbia avuto origine».



Le foto di Planck
Nuove scoperte sull’universo bambino fornite dalle immagini del telescopio
Grazie allo speciale macchinario messo in orbita nel 2009 che misura la radiazione cosmica di fondo sono stati ottenuti risultati sorprendenti:
il cosmo è più vecchio di quanto calcolato, la materia oscura è al 26,8 % e l’emisfero nord è diverso dall’emisfero sud

Pietro Greco

"L'Unità",  24 marzo 2013

È UN’IMMAGINE AD ALTA DEFINIZIONE DELL’UNIVERSO BAMBINO, QUELLA CHE NEI GIORNI SCORSI CI HA PROPOSTO PLANCK, lo speciale telescopio da 700 milioni di euro messo in orbita nel 2009 dall’Agenzia spaziale europea (Esa). Una fotografia per molti versi attesa e per altri sorprendente, ricostruita nei primi quindici mesi e mezzo di lavoro del telescopio montato su satellite, che coglie i dettagli più minuti del cosmo appena uscito dalla sua fase oscura e diventato finalmente visibile, 380.000 anni dopo il Big Bang.
Ma la nuova immagine ad alta definizione dell’universo bambino non costituisce solo una performance tecnologica di Planck, il telescopio che misura la radiazione cosmica di fondo. Propone anche importanti risultati scientifici. I principali sono quattro.
In primo luogo, fornisce una data più precisa della nascita del nostro universo. Secondo Planck il Big Bang è avvenuto esattamente 13,82 miliardi di anni fa. Il cosmo è dunque più vecchio di 50 milioni di anni rispetto a quanto calcolato in precedenza sulla base dei dati meno precisi del Wilkinson Microwave Anisotropy Probe (Wmap), un telescopio analogo lanciato nello spazio dalla NASA nel 2001.
In secondo luogo, le misure di Planck confermano in pieno il Modello Standard della Cosmologia, inflazione inclusa. Un risultato atteso, ma non del tutto scontato.
Il terzo risultato importante è che Planck ci fornisce una misura esatta di ciò che pesa nel nostro universo. Confermando un dato sconcertante: la natura del 95,2% dell’universo ci è oscura. Ma ridistribuendo un po’ i carichi. Fino all’altro ieri pensavamo che il 72% dell’universo fosse energia oscura (energia di cui non conosciamo, appunto, la natura). Planck calcola che, invece, l’energia oscura costituisca il 68,3% del cosmo. Le misure del telescopio europeo danno più peso alla materia oscura (materia di cui non conosciamo la natura, ma diversa da quella che noi osserviamo nella nostra vita quotidiana), che dal 22,7% delle precedenti stime sale al 26,8%. Resta inferiore al 5% (è il 4,8% per la precisione) il peso relativo della materia ordinaria, quella di cui siamo fatti noi, i pianeti, le stelle e le galassie. L’unica di cui conosciamo la natura. Planck, dunque, ci fornisce una conferma della nostra ignoranza e ripropone la domanda: di cosa è fatto quel 95,2% dell’universo la cui natura ci è oscura e di cui sappiamo solamente che esiste?
Quarto risultato. Il meno atteso. Planck ha realizzato una mappa del cosmo che ha la forma di un’ovale e ha, dunque, due emisferi. Ebbene in questa mappa ci sono due tipi di asimmetrie non attesi. L’emisfero nord è significativamente diverso dall’emisfero sud: il risultato era già stato ottenuto da Wilkinson Microwave Anisotropy Probe (Wmap), ma gli analisti lo avevano attribuito a un errore connesso alla scarsa definizione delle misure del telescopio americano. La foto ad alta definizione realizzata da Planck dimostra che non di errore si tratta, ma della realtà. Inoltre Planck ha trovato nell’universo bambino, dei «cold spots», macchie più fredde della media e molto estese. Le due asimmetrie abbastanza clamorose, perché sono difficili da spiegare sulla base delle conoscenze cosmologiche. E secondo alcuni evocano «nuova fisica».
Vediamo perché.
Il Modello Standard della Cosmologia dice che l’universo è nato con un Big Bang, una grande esplosione di un punticino piccolissimo, caldissimo e densissimo avvenuta esattamente (ora lo possiamo dire) 13,82 miliardi di anni fa. Come un palloncino l’universo neonato ha iniziato a espandersi. E come impongono le leggi della termodinamica a raffreddarsi. Quel palloncino era omogeneo e isotropo, uguale a se stesso in ogni sua parte. A meno di piccole fluttuazioni quantistiche. Un po’ più caldo qui, un po’ più freddo lì. Un po’ più denso qui, un po’ meno denso lì. Queste fluttuazioni sarebbero state rapidamente riassorbite dal torrido grumo se, poco dopo essere nato, l’universo non fosse andato incontro a un processo chiamato «inflazione»: un rapidissimo aumento di volume che ha congelato le fluttuazioni casuali iniziali. Quei punti più freddi e quei punti più densi sono diventati, centinaia di milioni di anni dopo, i nuclei di condensazione delle stelle e delle galassie.
Ma torniamo all’era dell’inflazione, iniziata più o meno dieci-trentacinque secondi dopo la nascita dell’Universo e durato appena dieci-trenta secondi, ma capace di aumentare la distanza tra due qualsiasi punti dell’universo di oltre 1030 volte. Sono numeri la cui reale dimensione sfugge alla capacità di immaginazione. Ma diciamo che il nostro universo visibile con il processo dell’inflazione è passato da dimensioni infinitesime (una sfera con un raggio pari alla lunghezza di Planck, circa 10-33 centimetri) alle dimensioni di un’arancia. Poi il cosmo ha passato da una crescita esponenziale a una crescita lineare. E mentre cresceva, come termodinamica impone, si raffreddava.
Durante il raffreddamento sono successe tante di quelle cose che è impossibile racchiuderle in una pagina. Diciamo solo che molte di queste transizioni di fase sono state ricostruite in laboratorio. Da ultimo la ricostruzione ha portato alla scoperta del bosone di Higgs al Cern di Ginevra.
Tuttavia per 380.000 anni l’universo è rimasto una sfera oscura. Perché i fotoni luminosi non riuscivano a muovere un passo che venivano immediatamente reclutati in un qualche processo. Se ci fosse stato un esterno e qualcuno in quell’esterno avesse osservato il nostro universo, non avrebbe visto nulla, ma percepito una grande attrazione gravitazionale e un insopportabile calore.
Quando, infine, 380.000 anni dopo il Big Bang la temperatura è scesa a pochi migliaia di gradi e si sono così potuti formare i primi atomi di idrogeno e i primi nuclei, la gran parte dei fotoni luminosi è stata libera di scarrozzare nell’universo. Sono quei primi fotoni liberi che ha fotografato Planck.
Da quel momento (13,82 miliardi di anni fa) l’universo ha continuato a espandersi e la radiazione a raffreddarsi, passando da una temperatura di circa 2.700 gradi a una temperatura di 2,7 gradi (Kelvin). La temperatura di una radiazione la radiazione cosmica di fondo che ha la frequenza delle microonde, che permea di sé l’intero universo e che è stata misurata dal telescopio Planck.
Planck ha verificato che questa radiazione è diffusa in maniera abbastanza omogenea. Come prevede il Modello Standard. Ma ha anche verificato profonde asimmetrie, non spiegabili sulla base del solo Modello Standard. Raggiungendo, forse, il suo massimo risultato: proporre nuove domande.

PER APPROFONDIRE:

Il progetto ESA Plank.  CLICCA QUI. 

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