martedì 26 febbraio 2013

La fabbrica del genio


Cina-Usa. La corsa al cervello perfetto
È l’ultima sfida tra super potenze. Usa e Cina alla conquista del cervello umano. Costruito in laboratorio. Con qualche rischio

Federico Rampini

"La Repubblica",  25 febbraio 2013

È l’equivalente della gara nello spazio che appassionò il mondo negli anni Sessanta e Settanta. Allora Stati Uniti e Unione sovietica si contendevano il primato nelle esplorazioni astronautiche. Le due superpotenze di oggi, America e Cina, si sfidano per la conquista di uno spazio molto più vicino: il cervello umano. Uno dei frutti di questa competizione potrebbe essere una Fabbrica dei Geni. La costruzione in laboratorio di super-cervelli: non computer, esseri umani. Il sogno del Superuomo è a portata di mano, con tutte le angosce e le controversie etiche che questo può sollevare. Non è un caso che nella stessa settimana siano uscite qui in America due notizie. Da una parte, Barack Obama ha annunciato “The Brain Activity Map”, piano decennale per la mappatura del cervello umano. È un progetto che ricalca da vicino la ricostruzione del genoma umano, ma applicato alla nostra materia grigia. Ed è il più ambizioso piano federale per la ricerca scientifica che venga lanciato da molti decenni a questa parte. Incorpora altri sforzi già avviati da tempo, come lo Human Connectome Project (Harvard e Washington University) che studia le “autostrade neuronali” e tutte le connessioni a livello cellulare che sono l’architettura portante dell’attività cerebrale. In contemporanea, il Wall Street Journal ha svelato il progetto cinese per scoprire «la chiave genetica dell’intelligenza», andando a esplorarne il centro di ricerca di avanguardia. È un laboratorio pubblico-privato con sedi a Hong Kong e Shenzhen.
Lo dirige un enfant prodige della biogenetica, il ventenne Zhao Bowen, che è già stato definito «il Bill Gates cinese». L’organizzazione più direttamente coinvolta è la Bgi, azienda privata ma che tra i suoi azionisti ha diversi enti di Stato compreso il governo del Guangdong (la più ricca provincia della Repubblica Popolare). In un solo laboratorio di Hong Kong, descritto nell’inchiesta del Wall Street Journal, un centinaio di super-computer con software specializzati per ricostruire la sequenza dei geni, sono al lavoro su 2.200 campioni di Dna. Tutti prelevati da individui con un’intelligenza fuori del comune. Dal mondo intero. Il criterio di selezione per quei campioni di Dna è semplice: i “donatori” devono avere un “QI” (quoziente d’intelligenza) superiore a 160. Per capire quanto l’asticella sia stata messa in alto dai ricercatori cinesi, basta ricordare che il quoziente d’intelligenza medio è fissato a quota 100 per la popolazione mondiale. La media dei premi Nobel è a quota 145. Un QI a 160 si riscontra solo su un individuo ogni 30mila abitanti del pianeta.
La finalità del progetto cinese è chiara: scoprire i fattori genetici che spiegano queste intelligenze al di fuori del comune. E naturalmente non si tratta di una curiosità fine a se stessa. Una volta individuato «il Dna del genio», si apre la sfida successiva: come sfruttarlo, identificarlo prima della nascita, eventualmente replicarlo in provetta? Ecco la Fabbrica dei Geni. Naturalmente non mancano le obiezioni. Una volta messo a punto il “kit” per la diagnosi precoce delle intelligenze superiori, andremo verso una società sempre più gerarchica e ineguale, con percorsi di carriera riservati fin dalla nascita ai cervelloni? Chi può impedire che di queste informazioni s’impadroniscano le aziende a fini di reclutamento, selezione del personale? Prima ancora di arrivare sul mercato del lavoro, sarà il sistema scolastico e universitario a rimodellarsi secondo “classi differenziate”, velocità di apprendimento pre-determinate in base alla genetica?
Non è un caso che la Fabbrica dei Geni stia vedendo la luce in Cina: una società che ha portato fino alle estreme conseguenze la visione darwiniana applicata all’economia, la competizione sfrenata per il successo economico, la meritocrazia esasperata nelle università. La selezione della specie nel capitalismo cinese si sposa con un’antica cultura delle gerarchie etniche, il razzismo verso le minoranze. Ma la Fabbrica dei Geni della Bgi, a cavallo tra Hong Kong e Shenzhen, non è un progetto esclusivamente cinese, tutt’altro. Attira attenzione e risorse anche dalla superpotenza rivale. Agli americani fa comodo poter delocalizzare delle ricerche genetiche ad alto tasso di controversia, in un paese come la Cina dove ci sono meno controlli, meno remore etiche, zero resistenze religiose (è già accaduto qualcosa di simile per la ricerca sulle staminali). Così la Fabbrica dei Geni si avvale della collaborazione di uno scienziato fisico cino-americano, Stephen Hsu che si è formato alla University of Oregon e ora dirige tutte le attività di ricerca alla Michigan State University. Un altro scienziato occidentale coinvolto in quel progetto è Robert Plomin, studioso di “genetica del comportamento umano” al King’s College di Londra.
Grazie a loro, i campioni di Dna usati nel laboratorio di Hong Kong non sono soltanto cinesi. I migliori quozienti d’intelligenza dell’Occidente sono ben rappresentati nella campionatura genetica. Per la parte cinese, Zhao Bowen ha attinto soprattutto ai giovani che partecipano annualmente alle “Olimpiadi di matematica” organizzate nel suo paese. Il Professor Plomin del King’s College ha raccolto campioni di Dna negli Stati Uniti attraverso un progetto chiamato “Study of Mathematically Precocious Youth” che da quarant’anni va a caccia dei piccoli geni della matematica fin dalla più tenera infanzia. Il professor Hsu a sua volta ha lanciato appelli per reclutare donatori volontari in varie istituzioni: tra i dipendenti di Google, al California Institute of Technology, all’Accademia delle Scienze di Taiwan. È importante che il materiale genetico raccolto sia molto vasto. Gli scienziati coinvolti in questa ricerca pensano che si debba partire almeno da diecimila individui per ottenere risultati affidabili.
Di fronte alla Fabbrica dei Geni cinesi, com’è stata svelata al pubblico dal Wall Street Journal, un’obiezione forte è stata espressa dallo scienziato Jeremy Gruber a nome del Council for Responsible Genetics di Cambridge, associazione che “vigila” sull’etica della ricerca. Secondo Gruber «il mondo della genetica è tuttora dominato da tendenze di pensiero deterministiche», c’è quindi il rischio che la ricerca sull’intelligenza si traduca in forme di discriminazione. I fautori della Fabbrica dei Geni non la pensano così, e sottolineano l’aspetto opposto: per esempio la possibilità di individuare precocemente attraverso i test genetici quei bambini che hanno difficoltà di apprendimento, per dedicargli attenzioni e metodi pedagogici adeguati.
Un’obiezione più fondamentale riguarda la misurazione del genio: i test sul quoziente d’intelligenza sono stati più volte contestati, la loro validità universale incontra molti detrattori. Forme di genio artistico e letterario rischiano di sfuggire a una misurazione che sembra dominata dalla dimensione scientifico- matematica. Il piano di Obama da questo punto di vista è più rassicurante. La mappatura del cervello umano annunciata dalla Casa Bianca, si prefigge in partenza degli importanti obiettivi medici. La cura del Parkinson e dell’Alzheimer, figura tra le priorità individuate dal presidente. Con una longevità media che continua ad allungarsi, “far durare” un cervello sano diventa un problema di massa, che ha ricadute sociali ed economiche di grande importanza. Prevenire le malattie cerebrali più distruttive, o allevare eserciti di intelligenze superiori? La sfida per la conquista della materia grigia è appena cominciata.


Gaetano Morelli, numero uno italiano per quoziente intellettivo 
(e tra i primi 30 al mondo)
“La superiorità dell’ingegno? Ti aiuta ad ascoltare gli altri”

Elena Dusi

Gaetano Morelli ha 39 anni, vive a Caserta, è laureato in Ingegneria civile e lavora per un’azienda informatica. A giudicare dalla misurazione del suo quoziente intellettivo (169), è fra i trenta uomini più dotati del mondo. E il numero uno in Italia. Non dimentica mai dove ha parcheggiato la macchina, ha scritto un libro divulgativo sulla teoria della relatività, crede in Dio e ritiene che «uno dei segni dell’intelligenza sia il saper ascoltare, rispettando le opinioni altrui». Nella sua ditta si occupa soprattutto di formazione: «Penso di saper spiegare in modo semplice concetti complessi». Ma nella vita quotidiana parla «per il 99% del tempo di calcio, pesca e famiglia».
Secondo lei quanto conta l’ereditarietà dei genitori?
«Penso sia preponderante. L’ambiente stimolante è essenziale per l’intelligenza dei bambini. Ma anche se non saprei dare una percentuale precisa, secondo me la genetica conta di più».
La sua famiglia per esempio?
«Mio padre è un ingegnere elettronico, fece un test per il QI molti anni fa. Non ricordo il valore preciso, ma arrivò nel primo 2% fra i laureati con il massimo dei voti. Suo fratello, un medico, è pure molto in gamba. E così mio nonno. I miei figli hanno 6 e 3 anni e sono ancora piccoli per essere valutati. Vorrei che crescessero prima di tutto in un clima di modestia e umiltà».
Pensa che uomini e donne siano diversi?
«A livello medio no. Potrebbe non essere significativo, ma nei range elevatissimi gli uomini sono la maggioranza»
Come definirebbe l’intelligenza?
«Di certo è un dono da mettere a frutto, non qualcosa di cui vantarsi. E poi ci sono tante intelligenze: quella che ti permette di risolvere problemi di logica, di metterti nei panni degli altri, di afferrare la relazione spaziale fra gli oggetti, di intuire rapidamente il senso delle parole. È un concetto che va molto al di là dei test per misurare il quoziente, ma negli esami migliori le domande sono strutturate in modo molto articolato proprio per cercare di cogliere i vari aspetti dell’intelligenza».
Quali sono le situazioni in cui si sente più avvantaggiato?
«In tutte le circostanze, anche le più banali, usare l’intelligenza aiuta. Se si presta attenzione a come disporre gli oggetti in casa, per esempio, si eviterà di perdere tempo a cercarli. Lo stesso vale per i file nel computer. Nel fare i calcoli a mente l’intelligenza aiuta, ma il legame non è così scontato: molte persone con un QI alto sono in realtà lente. Frequento spesso altri individui molto intelligenti, soprattutto via internet. Facciamo discorsi di fisica, filosofia, letteratura. Mi piace ascoltare le loro idee».
A suo parere il web ci rende più intelligenti?
«Avere così tante informazioni è davvero straordinario: internet rappresenta un balzo in avanti per l’umanità. Però in Rete bisogna usare spirito critico. Quando leggevamo una voce dell’enciclopedia di carta eravamo sicuri che fosse corretta. Sul web non sempre è così».
A proposito di stimoli per sviluppare l’intelligenza, a cosa giocava da bambino?
«Mio padre mi ha insegnato gli scacchi e il bridge quando avevo 4-5 anni. Sfidava noi bambini a risolvere problemi di aritmetica, e io gli chiedevo che ne inventasse di sempre più complicati. Alcuni, quando avevo 6-7 anni, prevedevano già piccoli sistemi di equazioni. Adoravo il Monopoli, e mi divertivo a cambiare le regole per renderlo più articolato. A scuola avevo il massimo dei voti. Per il resto: soldatini, robot, macchinine e imitazioni di Goldrake insieme a mia sorella».

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