venerdì 18 gennaio 2013

Renzo e Pinocchio, sfuggire alla giustizia è una piccola virtù


GIAN CARLO M. RIVOLTA

"Il Corriere della Sera", 17 gennaio 2013 


La giustizia, intesa come apparato giudiziario, come insieme di organi e di strumenti diretti a giudicare, a reprimere i reati, a far rispettare la legge, non gode certo di buona stampa nella letteratura italiana. Manzoni in testa, i nostri più reputati scrittori prendono le distanze da essa, la guardano con sospetto. Ne dicono, all'occasione, peste e corna. Non fa eccezione Carlo Lorenzini, il famoso Collodi di Pinocchio. Ho ripreso in mano il volume, illustrato da lunghissimi nasi burattineschi, che conservo da sessant'anni tra i miei libri; e assai di gusto ne ho rilette parecchie pagine. A suggerirmene il proposito è stata la scoperta di un bell'Elogio di Pinocchio di Pietro Pancrazi, con il suo esordio invitante: «Ogni anno, alla cara stagione della neve e delle castagne, cavo dallo scaffale dei libri più vecchi, Pinocchio: cerco un posto quieto vicino alla stufa, e me lo rileggo». Esordio cui segue la confessione che, di questo ritorno periodico, egli si domandava sempre il perché, senza sapersi dare una risposta; ma comunque escludendo di poterla trovare nella ricerca delle incerte impressioni della prima lettura e nella nostalgia di un'infanzia lontana. Tra parentesi: quella «bambinata» (come il Collodi stesso la definì nel 1881, inviando le prime cartelle a Guido Biagi, per trovare ospitalità a puntate nel «Giornale dei bambini») più che da lettori in erba, sembra idonea ad esser compresa da lettori maturi, allenati al gusto del paradosso, del sottinteso, dell'ironia. Non per nulla il «gran libro» seppe ispirare, su queste colonne, alcune brillanti Tastiere ad un raffinatissimo Antonio Baldini.
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Nel mio ritorno a Pinocchio ho cercato, per un disegno più ambizioso di confronto tra diversi approcci letterari al tema, i riferimenti alla giustizia come sopra intesa, con la «g» rigorosamente minuscola. I personaggi di Pinocchio, ben osserva il Pancrazi (ma qui gli sfugge, a proposito di quella giustizia, una sorprendente maiuscola, che prendo l'ardire di correggere) «quando hanno a che fare con la giustizia, è sempre per ingiuste ragioni». 
Il povero Geppetto, reo d'aver preso per la collottola il fuggitivo Pinocchio con l'onesto proposito di riportarlo a casa, viene condotto in prigione dalla guardia, senza poter dire una sola parola a sua discolpa; mentre lo scapestrato burattino viene rimesso tranquillamente in libertà. Pinocchio stesso, più avanti, si rivolge alla giustizia perché raggirato dal Gatto e dalla Volpe e derubato delle monete d'oro. Egli racconta al giudice l'iniqua frode di cui è stato vittima e gli dà nome e connotati dei malandrini, chiedendone la condanna. Il vecchio scimmione giudice, rispettabile per esperienza, pelo bianco ed occhiali d'oro, lo ascolta con benignità; prende viva parte al racconto; s'intenerisce persino. Ma quando Pinocchio conclude la sua difesa, suona il campanello e chiama i gendarmi, pronunciando l'assurdo verdetto, allegoria di certi giudizi umani: «Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete d'oro: pigliatelo dunque e mettetelo subito in prigione».
Sempre Pinocchio, a due terzi del racconto, è arrestato in riva al mare, sotto accusa d'aver rotto la testa a un compagno di scuola con un trattato d'aritmetica rilegato in cartapecora. Il volume appartiene a lui, ma è stato scagliato da un altro ragazzo, che si è dato alla fuga. Pinocchio, rimasto vicino al ferito per soccorrerlo, tenta invano di scolparsi di fronte ai carabinieri, ottusamente paghi di esili indizi. Ma questa volta, mentre viene condotto in prigione, con un colpo d'astuzia riesce a liberarsi, giovandosi di un'improvvisa folata di vento che gli porta via il cappello. Meglio essere uccel di bosco, gli suggerisce Renzo Tramaglino in un orecchio, che un misero uccel di gabbia! 
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«Dunque anche Pinocchio», chiosa ragionevolmente il Pancrazi, «sa che quando si può riparare con un po' d'iniziativa propria all'ingiustizia degli altri, e magari della legge..., è meglio non perder tempo». E conclude che l'insegnamento gli viene «dalla semplice morale dei poveri diavoli». Il confronto con le esperienze di Renzo non può tuttavia spingersi oltre; né l'approccio del Collodi al tema può, anche lontanamente, paragonarsi a quello del Manzoni. L'ingiustizia della giustizia umana è tema caro e ricorrente nello scrittore lombardo, che lo affronta con grande impegno civile e religioso. Al Collodi di Pinocchio siffatti impegni non si addicono. La sua «bambinata», iniziata e «messa in carta», come scrive il Baldini, «con una penna ancora forse mezz'addormentata», prosegue bravamente con piglio e freschezza, pur senza un piano di narrazione prestabilito. Gli basta una pennellata, un colpo di spatola, un graffio per suscitare il problema con un guizzo d'ironia. Ad altri tocca scavare a fondo e incidere sulla pietra. La giustizia umana in Pinocchio fa qualche rapida comparsa ed esce di scena. Se la cava tutto sommato a buon mercato. Con uno sberleffo.

1 commento:

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    Davide

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