sabato 12 gennaio 2013

Auguri Sciascia


Cinque pezzi facili per ricordarlo

Giuseppe Rizzo

"L'Unità", 8 gennaio 2013

Deve essere così: che l'intelligenza fa difetto ai professionisti delle ricorrenze. In Italia si ricorda (e si rimpiange) di tutto, e con la stessa amorevole tigna ci si dimentica di tutto. Oggi, per dire, è l'anniversario della nascita di Leonardo Sciascia e niente, non c'è il becco di una riga in tutti i quotidiani nazionali. 
Eppure ce ne sarebbe il tanto per rileggere alcune delle cose dello scrittore di Racalmuto. Con i suoi abbagli, le contraddizioni, la lucidità, con quel giro di frasi commoventi per la bellezza e la precisione della punteggiatura, Sciascia è invecchiato molto meglio di altri. 
Perciò, nel giorno in cui avrebbe compiuto 92 anni abbiamo deciso di strappare cinque pagine dalle migliaia scritte in vita e incollarle qui - a futura memoria, come si dice. Cinque pagine tra le più belle – tra i romanzi, le favole, le prime e le ultime cose, le più lette e le più dimenticate. Cinque pagine e un video, perché un'altra cosa straordinaria di Sciascia era la voce, che vale davvero la pena di ascoltare. 

FAVOLE DELLA DITTATURA
Sono di fatto l'esordio di Sciascia. Pubblicate nel 1950, le recensì anche Pier Paolo Pasolini: “Dieci anni fa queste favolette sarebbero servite unicamente a mandare al confino il loro autore. Quanti italiani sarebbero stati in grado di capirle? Adesso, con un fondo di amarezza tutta scontata, Sciascia condanna, nel ricordo, quei tempi di abiezione, e proprio con un gusto della forma chiusa, fissa, quasi ermetica, insomma: che a quei tempi era proprio uno dei rari modi di passiva resistenza”. 

Dopo che per lungo tempo furono introvabili, oggi le ha rieditate Adelphi, pubblicandole assieme alle prime e uniche poesie di Sciascia (“La sicilia, il suo cuore”). Questa, brevissima, s'intitola “L'asino”: 

“L’asino aveva una sensibilissima anima, trovava persino dei versi. Ma quando il padrone morì, confidava: “Gli volevo bene: ogni sua bastonata mi creava una rima”. 

IL GIORNO DELLA CIVETTA
E' indubbiamente il romanzo più conosciuto dello scrittore – e il primo di una serie che furono portati sul grande schermo. Eppure di questo lungo racconto sulla mafia, pubblicato nel 1961 (in Parlamento, in quegli anni, molti onorevoli ne negavano l'esistenza) Sciascia arrivò persino a vergognarsi: “E' un libro che non amo. Ha avuto troppo successo e per ragioni anche esterne. E' irritante accorgermi qualche volta che lo si legge come un ragguaglio folcloristico”. In particolare, a Sciascia diede fastidio l'ambiguità con cui molti facevano scrosciare gli applausi (a teatro, al cinema) durante il monologo del boss don Mariano Arena di fronte al capitano Bellodi sulle “categorie degli uomini”. Il monologo è questo: 

“Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parole piena di ven-to, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con ri-spetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà... Pochissimi gli uomini; mezz'uomini pochi, che mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini... E invece no, scende ancora più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi... E ancora più in giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito... E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere con le anatre nelle pozzanghere che la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre... Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo...”. 

NERO SU NERO
Le pagine di “Nero su Nero”, pubblicate nel 1979, sono tra le più feroci, per crudeltà e precisione d'analisi, di Sciascia. La radiografia dell'Italia è impietosa – l'Italia degli “eterni fascismi”, quella nerissima del decennio 1969-1979. Ma ci sono anche felici intuizioni, e divertenti, come per esempio quella sul cretino di sinistra: 

“Intorno al 1963 si è verificato in Italia un evento insospettabile e forse ancora, se non da pochi, sospettato. Nasceva e cominciava ad ascendere il cretino di sinistra; ma mimetizzato nel discorso intelligente, nel discorso problematico e capillare. Si credeva che i cretini nascessero soltanto a destra, e perciò l’evento non ha trovato registrazione. Tra non molto, forse, saremo costretti a celebrarne l’Epifania”. 

UNA STORIA SEMPLICE
L'ultimo romanzo di Sciascia. Una storia asciutta, in cui il gioco a togliere che caratterizzò tutta la sua opera, tocca qui il suo picco massimo. Una storia sul traffico di droga, in cui però la parola droga non viene mai scritta. L'incipit è la quintessenza del romanzo giallo: 

“La telefonata arrivò alle 9 e 37 della sera del 18 marzo, sabato, vigilia della rutilante e rombante festa che la città dedicava a san Giuseppe falegname: e al falegname appunto erano offerti i roghi di mobili vecchi che quella sera si accende-vano nei quartieri popolari, quasi promessa ai falegnami ancora in esercizio, e or-mai pochi, di un lavoro che non sarebbe mancato. Gli uffici erano, più delle altre sere a quell'ora, quasi deserti: anche se illuminati, l'illuminazione serale e notturna degli uffici di polizia tacitamente prescritta per dare impressione ai cittadini che in quegli uffici sempre sulla loro sicurezza si vegliava. Il telefonista annotò l'ora e il nome della persona che telefonava: Giorgio Roccella. Aveva una voce educata, calma, suadente. 'Come tutti i folli' pensò il telefonista. Chiedeva infatti, il signor Roccella, del questore: una follia, specialmente a quell'ora e in quella particolare serata”. 

L'AFFAIRE MORO
Uno dei pamphlet più discussi di Sciascia. Per le parole sul segretario Dc rapito e ucciso dalle Br lo scrittore fu duramente attaccato. Ma quelle pagine, ancora oggi, restano tra le più lucide su quei giorni infelici e feroci. Quello che segue è l'incipit del libro, un piccolo dialogo a distanza con Pasolini - e dolce, pieno d'affetto per il poeta ammazzato. 

“Ieri sera, uscendo per una passeggiata, ho visto nella crepa di un muro una lucciola. Non ne vedevo, in questa campagna, da almeno quarant'anni (…) Non potevo subito pensare a un ritorno delle lucciole, dopo tanti anni che erano scomparse (…) Era proprio una lucciola, nella crepa del muro. Ne ebbi una gioia intensa. E come doppia. E come sdoppiata. La gioia di un tempo ritrovato – l’infanzia, i ricordi, questo stesso luogo ora silenzioso ora pieno di voci e giuochi – e di un tempo da trovare, da inventare. Con Pasolini. Per Pasolini. Pasolini ormai fuori dal tempo, ma non ancora, in questo terribile paese che l’Italia è diventato, mutato in se stesso (“Tel qu’en Lui-même enfin l’éternité le change”). Fraterno e lontano, Pasolini per me. Di una fraternità senza confidenza, schermata di pudori e, credo, di reciproche insofferenze. Per mia parte sentivo come un muro che ci separasse una parola a lui cara, una parola-chiave della sua vita: la parola “adorabile”. Può darsi che questa parola io l’abbia qualche volta scritta, e sicuramente più volte l’ho pensata: ma per una sola donna e un solo scrittore. E lo scrittore – forse è inutile dirlo – è Stendhal. Pasolini trova invece “adorabile” quel che per me dell’Italia era già straziante (ma anche per lui, ricordando un “adorabili perché strazianti” delle Lettere luterane: e come si può adorare ciò che strazia?) e sarebbe diventato terribile. Trovava “adorabili” quelli che inevitabilmente sarebbero stati strumenti della sua morte. E attraverso i suoi scritti si può compilare un piccolo dizionario delle cose per lui “adorabili” e per me soltanto strazianti e oggi terribili. Le lucciole, dunque. Ed ecco che – pietà e speranza – qui scrivo per Pasolini come riprendendo dopo più che vent’anni una corrispondenza: “Le lucciole che credevi scomparse, cominciano a tornare. Ed è stato così anche con i grilli: per quattro o cinque anni non li ho sentiti, ora le notti sono sterminatamente gremite del loro frinire”.


La biografia: RaiEdu

Amici di Sciascia: il sito web.

Sciascia su Sciascia: "La personalità sciasciana non può essere ristretta in una serie di citazioni. Ma è anche vero che, in un mosaico, l’immagine è tanto più chiara e distinguibile quante più sono le tessere che compongono l’insieme...." CONTINUA...

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